Il nuovo film di Paolo Sorrentino è difficilmente catalogabile, sul programma del cinema presso il quale siamo andati a vederlo sotto la voce “genere” c’era scritto “dramma”.
Ma l’impressione che si ha usciti dalla sala non è certo quella di aver visto una storia drammatica.
La vita di Jep Gambardella, scrittore e giornalista all’apice della mondanità di una Roma che è difficile immaginare più decadente, non è certo un dramma.
Quella dei personaggi che ruotano attorno a lui può essere considerata drammatica solo nel senso in cui è un dramma la vita di chi vive di effimeri sogni, ma che comunque ha le spalle sufficientemente coperte (per fortuna o per bravura) per poter vivere fra le terrazze e i salotti romani.
La società decadente di Roma è rappresentata con un taglio amaro e onirico allo stesso tempo, fra discoteche, spettacoli di avanguardia, nobili a noleggio e cardinali che sono sempre presenti quando c’è un’occasione mondana. Il tutto è riportato a modeste dimensioni morali dall’arrivo della “Santa vivente”, suora che non può non far venire in mente Madre Teresa, che per non ben identificati motivi si ritrova a cena nella terrazza di Jep.
Difficile cogliere il messaggio che il regista vuole lanciare, speriamo che non sia quello banale lanciato da questa “Santa”.
In realtà queste scene finali sono forse le più convenzionali di tutto il film e sinceramente stonano con il resto della pellicola, sembra quasi che il regista aveva un’idea chiara che percorre tre quarti del film e poi si confonda.
Se il “messaggio” deve essere quello di abbandonare sesso droga e rock’n roll, o per meglio dire l’house music in questo caso, per riscoprire le proprie radici e i valori veri della vita Paolo Sorrentino ce lo poteva dire prima ed evitavamo due ore di decadenza romana per andarci a vedere Papa Francesco in televisione.
Dal regista napoletano questa svolta pseudo-moralistica e pseudo-mistica non ce l’aspettavamo, nei suoi film precedenti come “This must be the place”, “L’uomo in più” o “ Le conseguenze dell’amore” (questi ultimi due peraltro sempre interpretati dal bravissimo Toni Servillo) il regista si era sempre astenuto dal dar giudizi raccontando semplicemente storie. Cosa che poi è quello che ci piace del cinema, quando qualcuno vuole usare la cinepresa per far sermoni rischia sempre di risultare stucchevole.
Insomma ci sembra che il film di Sorrentino è troppo pretenzioso e probabilmente anche troppo attaccato a cliché anacronistici.
J. Mnemonic