Non vogliamo rimpolpare le polemiche ormai consuete che ad ogni assegnazione del premio Nobel per la letteratura puntualmente imperversano; però da tempo sosteniamo che continuare ad ignorare Stephen King faccia perdere di credibilità alla stessa accademia di Stoccolma.
Di certo il premio non è una questione di copie vendute ma di qualità, ed è proprio per questo che il più grande riconoscimento del mondo letterario il settantaduenne scrittore del Maine se lo sarebbe meritato da tempo. Se nel 1982 eravate distratti quando uscì la pazzesca raccolta di racconti lunghi “Stagioni Diverse”, se nel 1986 avete considerato “It” un libro di moda per adolescenti, se nel 1992 mentre “Dolores Claiborne” rilevava la bravura di Stephen King anche ai critici più scettici voi stavate guardando gli europei di calcio che ospitavate in casa è almeno dal 1996, dall’uscita de “Il miglio verde” che non avete più scuse.
Va bene, lo sappiamo… sono tanti a scrivere voi dovete leggervi tutto il mondo. Ok, Fate un po’ quel che volete, ma a nostro parere se King non riceverà questo premio (un premio che come noto non si può assegnare postumo) sarà una macchia grande almeno quanto quelle dei mancati premi assegnati in passato a Isaac Asimov e J.R.R. Tolkien. E se ancora considerate il “fantastico” nell’insieme dei suoi tre sottogeneri fantasy, fantascienza e horror letteratura di serie B, forse semplicemente non siete adatti a gestire un premio così importante.
Ad ogni modo, 22/11/63 è di certo uno dei migliori romanzi del Re. Probabilmente il migliore della produzione del nuovo millennio insieme alla chiusura del ciclo de “La torre nera” e a “Notte buia, niente stelle”. Ci limitiamo a dire questo, visto che non è umanamente possibile fare una classifica dei 61 romanzi (di cui sette come Richard Bachman) e delle undici raccolte di racconti pubblicate dal Re.
Possiamo dire che ciò che ci ha convinto di meno forse è proprio la parte in cui SK dovrebbe essere più forte, ovvero il fantastico e la metafisica. La “soluzione” dei viaggi temporali e l’uso improprio del cosiddetto “effetto farfalla” ci ha lasciato molto perplessi. Ed è solo per questo motivo che non lo mettiamo in quei quattro capolavori già citati per cui, a nostro modesto parere, ognuno di essi giustificherebbe un premio Nobel.
La semplicità della trama è invece il punto di forza del romanzo. King non si perde a giustificare la presenza di un varco temporale con le equazioni di Einstein-Rosen la magia nera o quant’altro. Semplicemente c’è un varco temporale nel retro di una tavola calda nella cittadina di Lisbons Falls nel Maine. Il titolare lo usa per andar a comprare la carne a basso costo nel 1958; infatti quando l’attraversi ti ritrovi nella stessa cittadina alle ore 11.58 del 9 settembre 1958. Quando viene riattraversato per tornare nel proprio tempo sono passati sempre e soltanto due minuti anche se si è rimasti anni in quella linea temporale. Però questa ha subito tutte le modifiche conseguenti alla presenza di estranei e delle azioni di questi in quel 1958; attenzione quando il varco viene attraversato di nuovo quelle modifiche si “azzerano” e il nuovo ritorno nel 2011 vedrà solo le modifiche nuove, non quelle dei viaggi temporali precedenti.
Vi sentite confusi? Parliamo di viaggi nel tempo del resto, normale.
Dunque, cosa si può fare di buono per l’umanità tornando nel 1958? Le guerre mondiali sono passate, l’11 settembre 2001 è lontano ma un “momento spartiacque” della storia su cui intervenire c’è. “John Fitzgerald Kennedy può salvarsi” come esclama uno dei protagonisti.
Lasciamo la scoperta della deliziosa storia nel passato a voi che non avete i pregiudizi degli accademici di Stoccolma, vi diciamo solo che nel raccontare questa storia e l’umanità dei personaggi che la vivono il Re è ai suoi massimi livelli.
Quello che ci lascia perplessi invece è il fatto che SK sposi (al 95% come ricorda lui) la versione della famigerata Commissione Warren sull’omicidio di JFK, ovvero che Lee H. Oswald agì da solo.
Ora al di là del fatto che King è un genio a nascondere gli indizi sulle sue reali opinioni storiche e politiche nelle sue storie (ma ci sono un paio di spunti non male riguardo alla bontà del lavoro della commissione), nelle note ci dice una cosa fondamentale ovvero: basta guardare il fotogramma 313 del filmato di Zapruder per avere le idee chiare sulla vicenda.
Beh, non sappiamo cosa pensi SK di quel fotogramma ma per noi le cose sono apparse sempre abbastanza chiare, film di Oliver Stone o meno. La testa di JFK viene colpita nella sua parte anteriore destra e viene spinta indietro da destra verso sinistra. Segno evidente di una traiettoria di un proiettile che va quanto meno parallelo al terreno (o in leggera ascesa, quindi dal basso verso l’alto) e quindi sparato da una posizione davanti a Kennedy e sulla sua destra. Sicuramente non dalla posizione al quarto piano di un edificio a ottanta metri di distanza dietro l’auto presidenziale.
E questo è quanto. Ogni tentativo di negare una realtà così evidente (vuoi per pallottole magiche, vuoi per eccesso di razionalità anticomplottista come fanno Attivisismo e Polidoro del Cicap) ci sembra veramente voler negare l’evidenza.
Poi c’è un’altra bazzecola di cui qualcuno sembra sempre dimenticarsi, ovvero che il PMAL di Terni (ex Fabbrica d’armi), dove è stato prodotto il fucile Carcano che secondo la commissione Warren Oswald ha usato per uccidere JFK e dove è tutt’ora esposto, ha prodotto una relazione per cui sia i danni causati sia i tempi di sparo non sono compatibili con quel fucile.
E se lo dicono anche i militari dovrebbe essere un discorso chiuso. O no?
“Complottista è chi il complotto fa” direbbe Forrest Gump, e al di là del fluoro nelle acque non è che possiamo berci proprio tutto. E poi via, un complotto contro Stephen King a Stoccolma c’è di sicuro.
Alessandro Chiometti