«There are no atheists in foxholes» può essere tradotto in italiano come «non ci sono atei in trincea» ed è un comune modo di alludere al fatto che quando gli esseri umani sono posti di fronte a situazioni tragiche in cui la propria o altrui esistenza è in grave pericolo, viene naturale credere (o semplicemente sperare) che qualcosa di più grande, qualcosa che non debba interrompersi in un modo così sporco e banale, così poco dignitoso,possa esistere, da qualche parte nell’universo.
Christopher Hitchens era un personaggio scomodo e controverso e non faceva sconti a nessuno, tantomeno a se stesso. E’ sempre stato a tutti gli effetti un ateo in trincea, ovviamente nel senso intellettuale del termine, vista anche la sua avversione per la Guerra del Vietnam e per le armi nucleari, che negli anni 60 lo spinsero ad allontanarsi dal partito laburista inglese preferendo seguire una sua personale rielaborazione del socialismo trotskiano.
Difficile che egli avesse mezzi termini per qualcuno o qualcosa, e infatti la frase per cui viene più spesso ricordato è: «Sono un ateo. Non sono neutrale rispetto alla religione, le sono ostile. Penso che essa sia un male, non solo una falsità. E non mi riferisco solo alla religione organizzata, ma al pensiero religioso in sé e per sé». Tale frase può essere considerata a tutti gli effetti una sorta di manifesto per la nuova corrente del pensiero ateo e razionalista mondiale che prende il nome di Ateismo Militante e che appunto sostiene che «la religione non dovrebbe essere semplicemente tollerata, ma dovrebbe essere contrastata, criticata ed esposta ad argomentazioni razionali ovunque acquisti influenza». Tale corrente di pensiero è comunemente ricondotta a coloro che più si sono (intellettualmente) battuti in questo campo: Richard Dawkins, Daniel Dennett, Sam Harris e, appunto, Christopher Hitchens. I “quattro cavalieri” (dell’Apocalisse, ndr), come scherzosamente venivano chiamati, che ora sono rimasti solo in tre. Richard Dawkins ha voluto ricordare l’amico perduto con le seguenti parole: «Addio, grande voce. Grande voce della ragione, dell’umanità e dell’umorismo. Grande voce contro i luoghi comuni, contro l’ipocrisia, contro l’oscurantismo e la presunzione, contro ogni tiranno, tra cui Dio. Addio, grande guerriero. Eri in trincea, Hitch, e non hai ceduto. Addio, grande esempio per tutti noi».
Chris Hitchens è morto il 15 dicembre, a 62 anni, a causa del cancro all’esofago che lo aveva colpito e di cui aveva dato notizia nel 2010, in un articolo su Vanity Fair in cui non gli era certo venuta meno la consueta ironia, avendolo intitolato “Topic of Cancer”, gioco di parole con il titolo del famoso romanzo di Henry Miller.
In trincea, Hitch c’è stato una vita intera. Era inevitabile, dato che un implacabile dispensatore di aspre critiche deve ovviamente fare i conti con molto nemici. I suoi bersagli erano assolutamente eterogenei, da G.W. Bush a Sara Palin, da Madre Teresa di Calcutta (a tal proposito si ricorda il libro “La posizione della missionaria. Teoria e pratica di Madre Teresa”) a Mel Gibson, passando per Noam Chomsky, il Dalai Lama, Ronald Reagan, fino al predicatore fondamentalista Jerry Falwell. Cosciente della propria malattia, Hitchens ha fatto fino all’ultimo ciò che probabilmente preferiva, il giornalista, scrivendo anche pezzi di lucida analisi della propria condizione, senza riservare nemmeno a se stesso gli sconti che non ha mai concesso a nessuno: «La vittima del cancro ha in sé una costante tentazione di essere egocentrica o addirittura solipsista», o ancora: «La mia più grande consolazione in questo anno vissuto da morente è stata la presenza degli amici».
Non doveva essere un tipo facile da fregare, il buon Hitch. Cosciente dell’attenzione multilaterale che il proprio personaggio si era conquistato e consapevole del fatto che gli ultimi attimi di vita di una figura spiccatamente e sfacciatamente antireligiosa potessero fare gola a molti, egli ha, tra le ultime cose, voluto precisare che qualsiasi voce di una sua conversione in punto di morte sarebbe stata solo una forma di sciacallaggio mediatico, come del resto è già avvenuto per altri personaggi scomodi come Charles Darwin, Voltaire e Jean-Paul Sartre. Come dire: se la minaccia delle solite paure popolane non riesce a piegarli in vita, un appropriato pettegolezzo post-mortem può sottomettere anche il più eretico dei pensatori, non appena perde irrimediabilmente la possibilità di controbattere.
In una lettera spedita da Hitchens alla convention degli American Atheist, a cui non aveva potuto presenziare a causa della malattia, egli ci saluta quindi con le sue stesse parole, le uniche che lo possono degnamente ricordare:
Cari compagni non credenti,
Niente avrebbe potuto trattenermi dall’unirmi a voi eccetto la perdita della mia voce (per lo meno la mia voce parlante), che è momentaneamente impegnata un lungo dibattito che sto attualmente tenendo con lo spettro della morte. Nessuno può vincere questa discussione, anche se ci sono dei validi argomenti da porre mentre il dibattito procede. Ho scoperto, via via che il nemico mi diventa più familiare, che tutte le suppliche per la salvezza, la redenzione ed il soprannaturale mi appaiono ancora più vuote ed artificiose di prima. Spero di continuare a sostenere e trasmettere queste lezioni ancora per diversi anni, ma intanto trovo che la mia fiducia sia meglio riposta in due cose: le abilità ed i principi della scienza medica avanzata, ed il cameratismo di innumerevoli amici e della famiglia, ognuno di loro immune alle false consolazioni della religione. Sono queste forze assieme ad altre che affretteranno il giorno in cui l’umanità si emanciperà dalle manette forgiate dalla mente della servilità e della superstizione. È la nostra innata solidarietà, e non un qualche despota del cielo, la fonte della nostra moralità e del nostro senso di civiltà.
Tale essenziale senso di civiltà è oltraggiato ogni giorno. Il nostro nemico teocratico è davanti a noi. Proteiforme, si estende dalla manifesta minaccia dei mullah dotati di armi nucleari alle insidiose campagne per far insegnare ridicole pseudoscienze nelle scuole americane. Ma in anni recenti, ci sono stati segni incoraggianti di una genuina e spontanea resistenza a queste meschine assurdità: una resistenza che ripudia il diritto dei bulli e dei tiranni di pronunciare l’assurda affermazione di avere dio dalla propria parte. Avere avuto una piccola parte in questa resistenza è stato il più grande onore di tutta la mia vita: lo schema e l’origine di ogni dittatura è la resa della ragione all’assolutismo, e l’abbandono dell’indagine critica ed obiettiva. Il nome comune di questa illusione letale è religione, e dobbiamo imparare nuovi modi per combatterla nella sfera pubblica, proprio come abbiamo imparato a liberare noi stessi nel privato.
Le nostre armi sono la mente ironica contro quella letterale: la mente aperta contro quella credula; la ricerca coraggiosa della verità contro le forze terribili ed abiette che metteno limiti all’indagine (e che affermano stupidamente che abbiamo già tutta la verita di cui abbiamo bisogno). Forse soprattutto, noi affermiamo la vita al di sopra dei culti di morte e dei sacrifici umani e siamo spaventati non da una morte inevitabile, ma piuttosto da una vita umana che viene storpiata e distorta dal bisogno patetico di offrire adulazioni sciocche, o dalla squallida credenza che le leggi della natura rispondano alle lamentazioni ed agli incantesimi.
Come eredi di una rivoluzione laica, gli atei americani hanno una speciale responsabilità nel difendere e sostenere la Costituzione che sorveglia il confine fra Chiesa e Stato. Anche questo è un onore ed un privilegio. Credetemi quando dico che sono con voi, anche se non fisicamente (e solo metaforicamente in spirito…) Siate decisi nella costruzione del muro di separazione di Thomas Jefferson. E non abbiate fede.
Con sincerità
Christopher Hitchens
Daniele Raimondi – Cronache Laiche