È notizia ancora fresca di agenzia: è stato nominato il nuovo presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia e la scelta è ricaduta su Sua Eccellenza Monsignor Vincenzo Paglia, arcivescovo della diocesi di Terni. Finalmente il potente consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio trova un ruolo più consono alla sua persona dopo dodici anni di gavetta nella quasi insignificante città umbra che è pure in odor di decurtazione dal rango di Provincia. Nei dodici anni passati sulle rive del Nera si è distinto per aver allacciato un rapporto strettissimo con l’allora sindaco di Terni Paolo Raffaelli al punto che secondo qualche malalingua laica non era più possibile distinguere se fosse il vescovo a fare ingerenza nella politica o il sindaco a farla nella diocesi. Fatto sta che i due sono andati a braccetto d’amore e d’accordo per (quasi) tutto il doppio mandato dell’esponente degli ex-Ds e non si ricordano cerimonie di inaugurazioni o importanti eventi politici in cui il prelato non fosse stato in prima fila con le autorità locali.
Chi abbia giovato di più dell’amicizia è difficile a dirsi, perché se è pur vero che il Raffaelli ha conquistato il secondo mandato con un plebiscito bulgaro (69,1% di consensi al primo turno) è altrettanto vero che sull’altro versante sono arrivate piogge di euro derivanti dagli oneri di urbanizzazione secondaria (quasi un milione in sette anni) e dall’organizzazione dei cosiddetti “Eventi Valentiniani” e una visibilità politica sempre maggiore del prelato che era ricercato come primo referente di ogni visita cittadina dei pezzi grossi della politica.
Poi, come nei film, il colpo di scena. A poco meno di un anno dalla scadenza del secondo mandato del sindaco il vescovo organizza un convegno sul declino di Terni, quasi come se lui fosse sceso da Marte e non fosse stato pienamente partecipe delle tante scelte politiche dell’amministrazione. Un vero “scherzo da prete” che il Raffaelli non si aspettava certo. Tuttavia, la coalizione di centro sinistra è riuscita comunque ad eleggere il nuovo sindaco ma i tempi delle vacche grasse delle casse comunali in cui si potevano elargire decine di migliaia di euro per un addobbo floreale della chiesa in occasione della messa in venerazione del santo locale sono finiti.
Una città colpita dalla crisi più delle altre non è il massimo per un vescovo in cerca di visibilità e infatti le voci di un imminente partenza verso luoghi più consoni si sono rincorse tante volte fino a oggi, ultima quella che lo dava come sicuro nuovo patriarca di Venezia. Finalmente un incarico di rilievo in Vaticano per il monsignore, la presidenza di un “Pontificio consiglio” che lo porta al pari livello di tanti altri gerarchi di Santa Romana Chiesa e dovrebbe garantirgli la porpora cardinalizia alla prossima “infornata” (su oltre sessanta presidenti ed ex presidenti dei consigli solo sette non sono stati nominati cardinali).
Ma teologicamente il monsignore da che parte sta?
Domanda di difficilissima risposta: quando si parla con esponenti diocesani viene presentato come un estremista di sinistra, «più audace dei teologi della liberazione» dice qualcuno, «socialista lombardiano» dicono altri. Peccato che in zona di tanta propensione alla rivoluzione non si sia visto niente, anzi. Oltre a qualche dissenso con dei sacerdoti realmente appartenenti alla TdL, il monsignore verrà ricordato per aver proposto di cresimare i bambini a otto anni, per aver appoggiato la ricerca sulle staminali adulte in periodo di referendum sulla legge 40, aver rifiutato la partecipazione ai convegni pro-biotestamento e aver partecipato a quelli anti-biotestamento. Tutte cose che di rivoluzionario non hanno niente e di reazionario molto.
Ma del resto se son rose fioriranno: ora che Sua Eccellenza è in un posto rilevante di potere e dovrà occuparsi, fra l’altro, della posizione della Chiesa su aborto, contraccezione, educazione sessuale, demografia e altre problematiche di bioetica, vedremo se c’è qualcosa che giustifichi la sua fama.
Alessandro Chiometti