«Suor Soledad ci portava al bagno dove ci faceva giocare al lupo. Una volta mi ha anche fatto male al mio ditino. Il gioco del lupo non mi piaceva perché era brutto. Non voglio raccontare cosa mi faceva. Se suor Soledad torna a scuola io non ci voglio più andare». «Suor Soledad è cattiva e dà botte ai bambini. Ci accompagna in bagno e mi tocca…con il dito (sulle parti intime, ndr). Poi ci fa giocare al lupo mangia frutta che ci mangia». «Vado all’asilo. La mia suora si chiama Agnese. Poi c’è anche suor Soledad che è molto cattiva. Lei mi faceva fare un gioco molto brutto perché mi toccava e mi faceva il solletichino (sulle parti intime, ndr). Suor Soledad ci faceva fare anche il gioco del lupo e mi diceva che doveva essere un segreto». «Vado all’asilo da suor Agnese. Poi c’è anche suor Soledad che mi accompagna in bagno per fare la pipì. Lei quando andiamo al bagno mi fa male… (il bambino utilizzando una bambola fa vedere che infila il dito indice e passa la mano sui genitali, ndr). Lei mi faceva fare un gioco molto brutto che chiamata il gioco del mostro-femmina che consisteva nel nascondersi e quando lo trovavo mi faceva scappare nel salone delle feste o nel bagno da solo. Nel salone delle feste o nel bagno, quando eravamo da soli, mi toccava… Suor Agnese, invece, è brava e non mi fa mai male». Sulla base di queste e altre testimonianze dello stesso “tenore”, Suor Soledad è stata condannata in primo grado a otto anni di reclusione dal tribunale di Vallo della Lucania (Salerno) per abusi “sessuali” compiuti su 27 bambini iscritti all’asilo dell’istituto religioso Santa Teresa di Vallo. Le vittime avevano tra i quattro e i sei anni di età e, a gennaio 2012, insieme con la religiosa peruviana Carmen Soledad Bazan Verde, gli stessi giudici hanno condannato a 16 mesi, perché ritenute colpevoli di favoreggiamento, suor Agnese e suor Romana.
La vicenda di pedofilia dell’asilo di Vallo della Lucania, caratterizzata come sempre accade anche da un mellifluo muro di omertà eretto da una parte della società civile locale intorno alle responsabili delle violenze, e di fatto ignorata dalla stampa nazionale, non è la prima ma è probabilmente la più scioccante tra quelle che nel secondo dopoguerra in Italia hanno visto per protagoniste delle religiose. O almeno così veniva naturale pensare fino a quando non è emersa la storia della giovane morta suicida a 26 anni per le conseguenze della devastazione psichica determinata da «abusi, violenze e atti persecutori» subiti da una suora di 52 anni, originaria di Busto Arsizio (Varese), sin da quando aveva 11 anni. Notizia di questi giorni è che il gip di Busto Arsizio ha sottoposto provvisoriamente la religiosa alla misura di sicurezza del ricovero in casa di cura e di custodia cautelare.
Ecco in breve i fatti. L’incontro tra la giovane vittima e la donna (che secondo la consulenza tecnica risulta affetta da disturbo borderline di personalità incidente parzialmente sulla capacità di volere e socialmente pericolosa) avvenne nel 1997 all’oratorio di una parrocchia di Busto Arsizio dove la suora prestava servizio. Come si legge nella nota della Questura «assunse presto connotazioni “sessuali” sino a trasmodare nel tempo in veri e propri atti persecutori e crescenti violenze fino a quando, nel giugno 2011, la ragazza, in preda ad una profonda crisi morale e psicologica, si tolse la vita all’età di ventisei anni». In seguito al suicidio le indagini dirette dal pm Roberta Colangelo, hanno subito un’accelerazione, grazie soprattutto «al materiale – ritrovato tra gli effetti personali della vittima; scritti, diari, corrispondenza, supporti informatici e documentazione video e fotografica». Non è ancora dato di sapere se qualcun altro fosse al corrente di questi crimini.
Sebbene in questi casi le statistiche lascino il tempo che trovano – la serialità tipica del crimine pedofilo e i danni psichici che esso provoca non consentono di conoscere con certezza il numero delle sue vittime – è stato calcolato che le “orche” in tonaca siano il 4-6 per cento sul totale dei religiosi accusati di questo crimine. Le vicende più note – oltre quelle descritte – si sono verificate in conventi dell’Alto Adige, in Lombardia e in Veneto. Anche in questo caso molte delle denunce sono arrivate sul tavolo di un magistrato solo quando oramai la prescrizione del reato aveva messo una pietra tombale sulle responsabilità delle presunte autrici. Guardando all’altra metà della popolazione religiosa cattolica, dal Duemila a oggi le denunce di abusi a carico di sacerdoti (si badi bene, per reati non caduti in prescrizione) sfiorano le 150 unità. Questo forse spiega perché la scia di abusi, violenze, sadismi e delitti pedofili compiuti da religiose in Italia è fortunatamente almeno fino a ora meno marcata di quella che ha segnato altri Paesi europei. A cominciare dalla Gran Bretagna, dove basta citare il caso delle 30mila “Maddalene” irlandesi seviziate dalle suore dell’istituto del Buon Pastore lungo tutto l’arco del Novecento. Per finire nei Paesi Bassi o in Germania dove si segnala un discreto numero di reati al “femminile” venuti alla luce solo di recente grazie all’ondata di indignazione popolare per i noti casi che hanno segnato decine di istituti religiosi cattolici tra il 2009 e il 2011.
“Una suora come Papa”. Così Maureen Dowd, tra le più graffianti columnist del New York Times, titolò una sua rubrica durante il picco massimo dello sdegno per i crimini pedofili insabbiati dalla Chiesa di Roma, a metà 2010. Obiettivo dell’attacco era il passato di Joseph Ratzinger in qualità di prefetto della Congregatio fidei e l’inerzia di Benedetto XVI di fronte ai casi che stavano sconvolgendo l’Irlanda e la Germania. «Il Papa c’è dentro troppo. Si è dimostrato tutt’altro che infallibile» scriveva Dowd, che è cattolica e originaria dell’Irlanda. «La Chiesa – proseguiva – non si riavrà fintanto che il suo Sacro Pastore è visto come una pecora nera nel panorama sempre più buio dello scandalo degli abusi sessuali». La sua non fu una voce solitaria. Le dimissioni del Papa tedesco erano invocate senza mezzi termini dagli editorialisti di alcune delle più influenti testate internazionali, Germania compresa. Perché allora non cogliere l’attimo e affidare la guida della Chiesa a una donna? chiedeva la giornalista del NYT. Forse dimenticando di proposito cosa era accaduto anni prima nella sua terra natia a uno sconcertante numero di sue coetanee, e soprattutto per mano di chi.
Federico Tulli – Cronache Laiche