Nell’autunno dello scorso anno avevamo segnalato la paradossale situazione delle aziende sanitarie locali di Jesi e Fano, dove non era più possibile garantire l’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) perché tutti i ginecologi in servizio sono obiettori di coscienza. La Cgil delle Marche snocciolava le sue cifre, secondo le quali nella regione gli obiettori sono il 62 per cento dei ginecologi, il 50 degli anestesisti e il 43 per cento del personale non medico. Inoltre, dati 2009, il 24,7 per cento delle interruzioni di gravidanza richieste da donne marchigiane è avvenuto in altra provincia e il 9,9 in altra regione. Del resto, dal punto di vista nazionale le cose non stanno certo meglio: il 70,7 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore, con punte dell’81,7 in Sicilia, 85,2 in Basilicata, 83,9 in Campania, 82,8 in Molise, 80,2 nel Lazio. A Jesi si è trovata una parziale e temporanea soluzione facendo venire una dottoressa da Fabriano, e proprio oggi il servizio dovrebbe riprendere.
Domenica scorsa Repubblica ha riportato la notizia che anche nella Asl di Bari abortire – come previsto, lo ricordiamo, da una legge dello Stato, la numero 194 – è oramai impossibile, ad eccezione del Policlinico. Che però non fa parte delle Asl e dove comunque ci sono notevoli difficoltà organizzative a causa della scarsa presenza di medici non obiettori. Le donne che volessero interrompere la gravidanza dovranno recarsi in altre Asl, a Monopoli, Putignano e Corato, o addirittura in un’altra regione. Oppure rivolgersi, pagando, a strutture private. La redazione barese di Repubblica riporta le parole di uno dei medici “neo obiettori”, il ginecologo Saverio Martella, la cui scelta sarebbe «etica e morale, maturata da molto tempo». Probabilmente, lavorando in una struttura pubblica, e con uno stipendio pagato non solamente coi soldi dei cittadini cattolici, doveva maturare un’altra scelta: dimettersi. O andare a lavorare in una struttura privata, magari ecclesiale, perché chi fa della coerenza una bandiera ha l’obbligo morale di praticarla in ogni aspetto della propria vita, privata e professionale.
Quella dell’obiezione di coscienza in ambito sanitario sta diventando, oltre che un abuso della propria professione da parte dei medici obiettori, una piaga sempre più diffusa; e questo nonostante sotto il regime della legge 194 il numero totale di interruzioni di gravidanza sia in lento ma costante calo, a dimostrazione che è meglio regolare – anche una materia così delicata – che vietare dando libero sfogo più alle convinzioni ideologiche di qualcuno che alla pragmatica osservazione della realtà. Chi obietta dovrebbe sapere che prima della 194 c’erano le mammane, e morivano spesso anche le donne.
Alessandro Baoli – Cronache Laiche