L’Assemblea Costituente che, all’alba della nostra Repubblica, fu chiamata a scrivere la Costituzione elaborò un testo Costituzionale in cui sono presenti numerose norme a tutela del pensiero religioso e delle Chiese, in ciò differenziandosi dalle grandi Carte sovranazionali in cui sono solennemente sanciti i diritti dell’uomo, nelle quali, per quanto riguarda la religione, ci si limita a dichiarare l’uguaglianza tra tutti gli uomini e la loro libertà di pensiero, coscienza e religione.
Non è azzardato affermare che il sistema costituzionale italiano, influenzato dal diverso peso delle forze politiche in seno alla Costituente, appare sbilanciato in senso confessionale, tali e tante sono le norme di tutela della religione e al Cattolicesimo rispetto alle altre manifestazioni del pensiero umano.
Tra gli articoli della Costituzione dedicati alla religione che più di altri hanno fatto discutere si trova anzitutto l’art 7, che tratta dei rapporti con la Santa Sede e degli accordi intercorsi tra lo Stato e la Chiesa cattolica, meglio conosciuti come Patti Lateranensi. Con tale nome si definiscono i documenti sottoscritti l’11 febbraio del 1929 nel palazzo di San Giovanni in Laterano dai rappresentanti del Regno d’Italia e della Santa Sede, comprendenti due distinti atti: il Trattato che riconosceva l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede e fondava lo Stato della Città del Vaticano e il Concordato che definiva le relazioni civili e religiose tra la Chiesa e lo Stato Italiano. Tali accordi, essendo liberamente intervenuti tra organismi sovrani, divennero immediatamente e pienamente validi di per sé senza che fosse necessario accoglierli o citarli in altri corpi normativi, magari di livello superiore.
Nonostante avessero già pieno valore, furono inseriti, dopo quasi vent’anni dalla loro creazione, nella Costituzione Repubblicana, precisamente nell’art. 7 che recita così: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.”
La prima evidente anomalia è stata rilevata nel primo comma dell’articolo, dove si afferma la sovranità indipendente dello Stato e della Chiesa. A ben guardare si tratta di una formula senza senso perché sarebbe come scrivere nella Costituzione che, ad esempio, “Italia e Usa sono indipendenti e sovrani”. Per il fatto stesso di scrivere la propria Costituzione uno Stato si costituisce sovrano da sé senza riconoscimenti reciproci con altri Stati, del tutto ininfluenti per far nascere la propria sovranità. In altre parole la sovranità nazionale nasce senza la necessità del riconoscimento di un’altra entità di pari livello statale. La formulazione dell’art. 7 implica invece che lo Stato Italiano, nella sua stessa Costituzione, viene riconosciuto come sovrano da uno Stato estero, che tra l’altro non è nemmeno vincolato a sua volta dal documento, la Costituzione che vale solo per lo Stato Italiano e non per la Santa Sede.
Un’altra possibile interpretazione del primo comma potrebbe essere che la sovranità è esercitata da parte di ambedue le entità (Stato e Chiesa) contemporaneamente sullo stesso territorio. Se è così, i problemi si moltiplicano perché si ammette l’esistenza di un altro Stato sul proprio territorio che però opera in un altro ordine. Ma che cosa si intende per ordine? Quello delle coscienze individuali? Ma questo significa che lo Stato autorizza un altro potere sovrano, sul suo stesso territorio, a fornire ai suoi cittadini servizi (spirituali) che nella Costituzione non sono riconosciuti né previsti.
Un’altra anomalia dell’art. 7 riguarda il secondo comma che cita i Patti Lateranensi e fissa dei limiti alla loro modifica. L’inserimento del Concordato in Costituzione ha reso un Trattato internazionale, quello che riconosce la Città del Vaticano, come previsione costituzionale di uno Stato sovrano e lo ha reso non modificabile se non per volontà concorde delle due parti. La formula “Le modificazioni dei Patti [devono essere] accettate dalle due parti” significa che lo Stato Italiano non può decidere alcuna modifica senza che il Vaticano sia d’accordo, né, nel caso sopravvenissero condizioni tali da rendere gravoso o superato l’impegno assunto, lo Stato potrebbe liberarsene con una denuncia unilaterale, come è normalmente consentito nel diritto internazionale. E’ evidente che ciò comporta un’assurda auto-limitazione della sovranità nazionale laddove impedisce allo Stato Italiano di interrompere gli effetti di un accordo, realizzando così un matrimonio indissolubile con una controparte estera. Lo scioglimento del vincolo appare in via teorica possibile, anche se arduo poiché richiederebbe la preliminare modifica dello stesso art. 7 con le complesse modalità previste dall’art. 138 cost.
Queste anomalie non possono essere sfuggite ai giuristi della Costituente che evidentemente ritennero che l’interesse della parte politica di appartenenza fosse più importante dei principi giuridici, per cui l’esistenza dell’art. 7 si può spiegare come il frutto di compromessi politici, anche se ci si sarebbe aspettato che in quella sede, fucina di alti principi, di compromessi non ce ne fossero stati. La situazione di ambiguità e disagio dell’art. 7 emerse già negli anni immediatamente successivi al varo del testo costituzionale, tanto da indurre Benedetto Croce, membro dell’Assemblea, a dichiarare che l’inserimento del Concordato fu “uno stridente errore logico ed uno scandalo giuridico”.
La presenza dell’art. 7 appare ancora più incongruente non appena si prende atto che è presente in Costituzione un art. 3 che sancisce solennemente il “Principio di eguaglianza” in questi termini “Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza , di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali.” La norma assicura quindi a tutti i cittadini tutela e rispetto ed è sufficiente a proteggere le più diverse opinioni di fede e ogni organizzazione religiosa, rendendo superflua ogni altra norma che riservi maggior protezione a particolari categorie di cittadini.
Il principio di eguaglianza costituzionale esclude anzi che possano esistere cittadini maggiormente tutelati rispetto alla tutela generale assicurata dall’art.3, perché ciò significherebbe discriminare e svantaggiare le categorie non privilegiate. Quindi se interpretiamo il “Principio di uguaglianza” dell’art 3 in modo assoluto, come dobbiamo, ne discende che il recepimento del Concordato in Costituzione è un atto inutile e improprio, così come inopportune si rivelano tutte le altre norme dettate a tutela del fenomeno religioso contenute negli artt. 8, 19 e 20.
In ordine ai Patti Lateranensi qualcuno ha anche eccepito che sarebbero dovuti decadere con il venir meno del regime fascista, tanto più che l’intento della Costituzione repubblicana fu anche quello di segnare una netta discontinuità con il precedente regime. Ma così non fu e l’inserimento in Costituzione degli accordi del 1929 ha avuto anche l’effetto di scongiurarne per il futuro la decadenza a motivo della loro commistione con il regime del ventennio.
Né, per giustificare l’inserimento dei Patti in Costituzione, pare sufficiente la preoccupazione politica, all’epoca molto viva ed ampiamente evocata da parte cattolica, di attuare una sorta di pacificazione nazionale di tipo religioso, a sanatoria della situazione conflittuale nata all’epoca del processo di unificazione nazionale. La preoccupazione appare eccessiva e pretestuosa perché la questione poteva già ritenersi risolta con la stipula dei Patti del 1929 che concluse, anche formalmente, la “questione romana” e sanò, a suon di milioni, l’offesa portata al Santo Padre con le cannonate di Porta Pia.
La stessa volontà pacificatoria non fu estranea all’inserimento in Costituzione di una serie di altre norme, che insieme all’art. 7, completarono uno status privilegiato per la religione in generale e per la Chiesa cattolica in particolare. Questo favor religionis della Costituzione fu la premessa giuridica per ottenere una lunga serie di discutibili vantaggi dallo Stato italiano a cui carico furono nel tempo create pesanti servitù economiche, ancora oggi gravanti sull’intera comunità dei cittadini, comprendente anche i diversamente credenti e i non credenti.
Dagoberto Frattaroli