In un suo post di qualche giorno fa, Giovanna Cosenza denunciava il sessismo del governo Renzi attraverso una lucida definizione: «Fare sessismo significa guardare una persona, e cioè valutarla, giudicarla, fotografarla, riprenderla in video, in una parola “definirla” (con parole e/o immagini), per il suo sesso, punto e basta. Non per ciò che sa, pensa, dice, sente. Non per quel che ha fatto o potrebbe fare. Non per la sua storia personale e/o professionale. Ma solo per il sesso che le si attribuisce, con tutti gli stereotipi che si porta dietro: vestiti, posture, comportamenti, tic vari. Ed è sessismo, attenzione, anche quando lo sguardo – il giudizio, la valorizzazione, la definizione – sono positivi, non solo quando sono negativi».
L’appello bipartisan delle nostre parlamentari per inserire nell’Italicum la parità di genere ha lo stesso sapore strumentale dello scegliere metà dei ministri donna (e sventolarlo come “progresso”). Parlare di necessità delle quote rosa nella rappresentanza politica è un boomerang che invece di favorire la parità dei sessi ne rimarca la disparità. Crea una specie protetta, da riserva indiana, che è propria del sessismo, non della parità. Che una donna valga in quanto “donna” e non in quanto “capace” cos’è se non sessismo?
In tutto ciò, poi, emerge un ulteriore controsenso. Con le liste bloccate dell’Italicum si costringono i cittadini a fidarsi delle scelte di partito senza poter esprimere le proprie preferenze. Le parlamentari promotrici dell’iniziativa, invece di battersi affinché gli elettori possano scegliere i loro rappresentanti (anche donne, s’intende), chiedono di aggiungere un’altra forzatura – ossia l’alternanza uomo-donna nelle liste e la parità numerica di genere dei capilista – a un sistema che già è antidemocratico. In questo modo non sarebbero discriminate le donne, ma lo sarebbero tutti gli elettori attraverso una doppia imposizione. Non solo non possono votare un candidato o una candidata, ma il loro voto andrà a un uomo piuttosto che a una donna seguendo una rigida regola numerica che prescinde dai meriti politici dei candidati, rosa o celesti che siano.
Curiosità. Tra le firmatarie dell’appello c’è l’ex ministro Stefania Prestigiacomo, che in un’intervista al Corriere dichiara: «A Berlusconi si deve riconoscere di avere avuto, nei confronti delle donne, in politica, un’apertura forte e concreta: nell’ultimo suo governo c’erano sei ministre». Ma ora, aggiunge Prestigiacomo, «lo dico con grandissimo dispiacere, però davvero Berlusconi deve fare i conti con un partito che su questi temi mostra ancora, dopo tanti anni, atteggiamenti gravemente retrogradi». Cioè colui che ha normalizzato la mercificazione femminile in politica sarebbe un cultore della parità tra i sessi. Chapeau.
Cecilia M. Calamani – Cronache Laiche