Quello di Germano Rubbi (Dalia Edizioni) è un racconto storico sulla resistenza. I nomi dei protagonisti sono stati cambiati, i luoghi no. I fatti narrati quindi si sono svolti realmente a Calvi dell’Umbria nei mesi successivi all’8 settembre 1943 e antecedenti al 25 Aprile 1945. L’opera compie un ottimo lavoro di ricostruzione senza cadere nelle opposte trappole della mitizzazione di Stato e la conseguente istituzionalizzazione dell’azione partigiana e del becero revisionismo in certa di scoop e guadagni facili.
Il titolo dell’opera “I partigiani non c’erano” a nostro giudizio può sottolineare, come si capisce leggendo il libro, due aspetti storici delle azioni militari allora contrapposte, quella partigiana e quella nazifascista.
Da un lato la difficoltà di quest’ultima nello stanare i partigiani sulle montagne e quindi il colpire per rappresaglia, seguendo una strategia terrorista e vigliacca i civili, dall’altro l’impossibilità dell’azione partigiana di correre in aiuto di questi per fermare le stragi.
In questo senso il libro colpisce perfettamente nel segno e rende benissimo l’idea della confusione che regnava in quei mesi, in cui si approfittava di vecchi rancori per delazionare anche l’incolpevole vicino e saldare così i conti una volta per tutte. Giorni in cui le linee di comando erano talmente confuse che neanche gli stessi militari tedeschi sapevano chi prendeva gli ordini da chi.
I personaggi del libro sono ben descritti e ben definiti sotto tutti i profili, l’insieme è convincente e ben strutturato.
Unico appunto da fare all’autore, ci sarebbe davvero piaciuto conoscere tutti i “finali” dei protagonisti.
Ad ogni modo l’opera va comunque meritoriamente inserita nell’ottica del lavoro che diversi autori portano avanti (primi fra tutti i Wu Ming) sul dovere di raccontare storie sulla resistenza, per mantenere viva la memoria, per far capire quello che è successo in quei mesi confusi, per capire le origini della nostra Repubblica. Senza cadere come dicevamo nei tranelli revisionisti o dell’equiparazione delle responsabilità dovuti al sempre troppo abusato motto “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scordammoce ‘o passato”, ne’ tanto meno di mitizzare e far diventare eroi perfetti senza macchia quelle persone che hanno fatto la scelta di fare qualcosa senza aspettare inermi la manna angloamericana. Come sosteneva Italo Calvino: “non è detto che fossimo santi, l’eroismo non è sovraumano”.
Occorre capire il contesto in cui si svolgono le storie, non per giudicare ma per comprendere quello che è successo. I libri come quello di Rubbi aiutano.
J. Mnemonic