Apparentemente non sarebbe argomento da associazione laicista, eppure a pensarci bene il calcio è la prima religione dello stato italiano al punto da condizionare il comportamento nel quotidiano dei singoli molto più di quanto non faccia la religione cattolica anche quando non si parla esplicitamente di partite o di campagna acquisti (del resto viviamo in una terra dove gente come Max Pezzali all’inizio dei propri concerti si faceva il segno della croce e calciava un pallone verso il pubblico).
Nel nostro paese troppo spesso ogni aspetto della giornata viene visto o vissuto come se si trattasse di una partita di calcio al punto da dimenticare e travisare completamente la sostanza degli eventi che vengono tradotti in tale ottica; qualcuno ricorda a titolo di esempio come durante una votazione a maggioranza all’interno di una nota associazione (che non è Civiltà Laica), alcuni propositori di una mozione al momento della conta dei voti fossero esplosi come se la loro squadra avesse segnato: per loro l’importante non era la sostanza e le conseguenze della decisione collegiale, era stare dalla parte dei “vincitori di quella specifica competizione”.
A questa tendenza, che è un eufemismo definire adolescenziale, non ha potuto fare eccezione neppure una sentenza importante come quella di MAFIA CAPITALE dove parte dell’opinione pubblica, ma soprattutto i giornalisti, non ha potuto fare a meno di individuare dei vincitori e degli sconfitti al termine della lettura della sentenza di primo grado, come se in realtà la sconfitta non sia stata dell’intera città di Roma fin dal primo momento in cui l’indagine era terminata con l’ondata di arresti che ha caratterizzato il successivo processo.
L’atteggiamento di una certa stampa addirittura si è spinto al punto dal voler far apparire una realtà surrettizia come se gli imputati fossero stati tutti assolti perché il collegio giudicante non ha riconosciuto l’aggravante di Associazione a delinquere di stampo mafioso: per questi “signori dalle conclusioni facili” sembra che il “non appartenere ad una Associazione di stampo mafioso” equivalga ad automatica innocenza.
In questi giorni gli articoli che parlano di “sconfitta della Procura di Roma” non si contano, fino ad arrivare all’articolo di LA STAMPA secondo cui dovrebbe vergognarsi chi ha dipinto Roma come una città mafiosa rovinandone il nome e la reputazione secolare (perché notoriamente Roma è una città in cui non succede mai nulla, la Banda della Magliana, i Casamonica e l’ondata di arresti di Tangentopoli nei primi anni 90 sono vecchie fiction; a Roma in realtà non sono mai volate mazzette o tangenti … vero ?).
Una procura che presenta una tesi e la stessa tesi che viene accettata solo in parte, secondo una certa stampa rappresentano una “sconfitta della procura”: il fatto che ci siano state una caterva di condanne per Associazione a delinquere tra gli stessi amministratori pubblici non ha alcuna importanza, la cosa fondamentale è che non si ricada in quell’aggravante del reato di associazione a delinquere che è definita col termine “di stampo mafioso”; per il resto secondo buona parte della stampa nostrana non c’è nulla di male nell’appartenere ad un’Associazione a delinquere: sono cose che possono capitare come un tamponamento. Chi è che almeno una volta nella vita non ha fatto parte di un’associazione a delinquere ?
Se qualcuno volesse entrare nel tecnico basta che vada su wikipedia, per scoprire che i tratti caratteristici di un’associazione a delinquere sono:
- la stabilità dell’accordo, ossia l’esistenza di un vincolo associativo destinato a perdurare nel tempo anche dopo la commissione dei singoli reati specifici che attuano il programma dell’associazione (la stabilità del vincolo associativo dà al delitto in esame la tipica natura del reato permanente);
- l’esistenza di un programma di delinquenza volto alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti. La commissione di un solo delitto non integra la fattispecie in esame.
Sicuramente l’attento e per niente fazioso giornalista di LA STAMPA si è reso conto all’istante che si tratta di peccati veniali su cui si può chiudere un occhio e soprattutto senza i quali non avremmo mai avuto Gavino e Scamarcio eletti a grandi divi dello schermo cinematografico, né tantomeno quella meravigliosa fiction televisiva che è derivata dal romanzo di De Cataldo.
Se invece ci andiamo a vedere l’aggravante del 416bis scopriamo che: «L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.»
Secondo la corte di primo grado i suddetti elementi non c’erano ed ora occorrerà vedere quale sarà il parere della corte d’appello (ammesso che in appello ci si vada).
Traduzione in termini spiccioli: il fatto che a Roma nessuno scattasse sull’attenti in atteggiamento omertoso al nome di Carminati e Casamonica rappresenta per la stampa nostrana una garanzia di apparente innocenza per tutti gli imputati del processo di Mafia Capitale ed una grave sconfitta per la Procura; non è importante che non vengano commessi reati anche piuttosto gravi, l’importante è che non si ricada in una certa categoria, così possiamo andare a sbandierare un bel gagliardetto con sopra scritto “Forza Carminati !”, “Procura di Roma in serie B !” e magari intonare Seven nation army alla lettura della sentenza del 20 luglio.
La sostanza di tutta questa triste vicenda post-giudiziaria è “aver fatto punti” nel “non apparire mafiosi” più che nel “non esserlo”, poi l’associazione a delinquere ci può pure stare, tanto nessuno la nota.
Un vecchio aneddoto della legge di Murphy citava: “Il modo migliore per eliminare i rifiuti tossici è quello di riclassificarli come non tossici”.
Francesco Saverio Paoletti