[voto: 7.7/10]
[attenzione spoiler]
Quentin Tarantino ormai è una leggenda vivente. Dopo Stanley Kubrick non ci ricordiamo altri registi il cui nome poteva trascinare folle di persone nella sala cinematografica a prescindere dagli attori, dal genere di film e dalle recensioni.
È “solo” il suo nono film, non considerando ovviamente l’episodio di Four Rooms da lui diretto e considerando Kill Bill I e II come un unico film. Ecco, forse possiamo proprio mettere il doppio film girato con la sua musa più famosa, Uma Thurman, come uno spartiacque della sua carriera. Prima di allora era considerato un grandissimo regista di genere ma snobbato da chi va al cinema solo per “roba seria”, come si suol dire.
Dopo Kill Bill invece il nome del regista è un richiamo sufficiente per far correre in sala qualunque cinefilo del pianeta.
Bravissimo nel rilanciare attori considerati a fine corsa (John Travolta, Bruce Willis, Kurt Russel), eccezionale nel valorizzare attori emergenti (Tim Roth, Steve Buscemi, Cristoph Waltz), strepitoso quando ha attori all’apice della carriera (Brad Pitt, Jamie Foxx e Leonardo Di Caprio, ma anche De Niro, Keitel, Fassbender), capace di valorizzare le attrici donne in ruoli che resteranno fra i migliori della loro carriera (Uma Thurman per l’appunto, ma anche Pam Grier, Daryl Hannah, Jennifer Jason Leigh) e, infine, capace di creare un suo staff di attori feticcio che interpretano perfettamente qualunque ruolo gli venga richiesto (Samuel L. Jackson, Michael Madsen, Bruce Dern).
Insomma Quentin Tarantino con i suoi 56 anni e nove film è forse il regista che rappresenta meglio di chiunque altro la parola “cinema” nelle sue mille sfaccettature.
Che non ce ne vogliano i tanti maestri del genere; forse in termini “tecnici” sono più bravi di lui (pensiamo a Scorsese, De Palma, Inarritu, Darembont, Amenabar, Scott); è una nostra impressione. Forse, pensandoci sopra, l’unico che può competere con lui nel rappresentare il “cinema” è Steven Spielberg, ma consentiteci di dirlo: questo è troppo american style per rappresentare tutto il cinema.
Insomma l’avrete capito, siamo tarantiniani fino al midollo e abbiamo avuto la fortuna di vedere il suo evolversi fin dal Le iene che arrivò in sala in Italia solo nei cinema d’essai come un ufo; vietato e apprezzato solo da coloro che non disdegnavano la presenza di scene molto crude (era la versione in cui veniva ancora mostrato integralmente il taglio dell’orecchio del poliziotto ostaggio da parte di Michael Madsen aka Mister Blond al ritmo di Stuck in the middle with you).
Degli otto film di Tarantino ne abbiamo adorati sei, a cui assegniamo voti non inferiori all’eccellente. Uno proprio non lo abbiamo digerito (Grindhouse) e di un altro proprio non riusciamo a trovare un significato che renda apprezzabile il film. Parliamo di Bastardi senza gloria.
L’unico senso che riusciamo a darli è che sia solo uno sfogo si Tarantino che vorrebbe vendicarsi dei nazisti e di Hitler in particolare, cosa che non ha potuto fare dal vero perché troppo giovane. Inserire una fake history in un film che parla della seconda guerra mondiale non ci è mai piaciuto.
Tutta questa premessa per condividere un minimo dei nostri pensieri su Quentin Tarantino, perché che piaccia oppure no, una sua pellicola non è mai un film qualunque di cui si può parlare en passant.
C’era una volta a… Hollywood mette alla prova sia i fan sia i critici del regista. Quando sul finale abbiamo capito che il regista stava inserendo un altra fake history nella trama, il film che fino ad allora avevamo apprezzato ha cominciato a perdere punti. Siamo infine usciti interdetti dalla sala e ci abbiamo rimuginato sopra una settimana. Poi l’abbiamo rivisto e finalmente metabolizzato. A differenza di Bastardi senza gloria ii film ci piace ed è all’altezza del mito tarantiniano.
La trama del film, a differenza dello stile pulp che ci ha fatto scoprire ed amare il regista del Tennessee, non ha una trama complicata. Anzi, è molto semplice e lineare e, a parte alcuni flashback di pochi secondi, segue una linea temporale unica.
Loenardo Di Caprio aka Riff Dalton è un attore abbastanza famoso e Brad Pitt aka Cliff Booth è la sua controfigura. Ma Cliff è anche un amico fidato che lo segue facendogli sia da autista che da factotum. Cliff è un tipo molto tosto (se ne accorge anche un certo Bruce Lee), eroe di guerra ma con brutte voci sul suo passato.
Rick Dalton vive in Cielo Drive ed ha come vicini di casa Roman Polanski e sua moglie Sharon Tate, entrambi lanciatissimi verso una carriera eccezionale. Dalton invece dopo molti film è passato alla Tv e ormai si sta specializzando in ruoli villain; segno, gli dice Al Pacino aka Martin Scwarze di una carriera in discesa. “Ci manca solo che ti fai picchiare da Batman” gli dice, consigliandogli di andare in Italia a girare dei spaghetti western con Sergio Corbucci.
Quello che capita da qui in avanti è il mescolarsi dei personaggi “finti” creati da Tarantino con quelli veri. Margot Robbie aka Sharon Tate che passeggia per Hollywood entrando nei cinema a vedere le reazioni degli spettatori alla sua interpretazione, Cliff che entra a contatto con la comunità di Charles Manson dopo aver dato un passaggio ad una hippie seducente quanto minorenne e sprovveduta, Steve Mc Queen (interpretato da Damian Lewis) che commenta i pettegolezzi su Sharon e Roman uniti in un triangolo quasi equivoco con l’ex di lei Jay Sebring (aka Emile Hirsch).
Il tutto è unito in un plot semplice e denso di suggestioni imperdibile per chiunque abbia solo sentito parlare della Hollywood di quegli anni. Era il 1969, a ridosso della Summer of love, il moneto in cui tutto sembrava possibile. Nell’accezione positiva del termine.
Evitiamo di parlare della bravura di Di Caprio, Brad Pitt e del resto del cast perché è pleonastico, evitiamo di sottolineare ogni omaggio del regista perché ci vorrebbe un enciclopedia per sviscerarli tutti; primo fra tutti quello del doppio esemplificato dal rapporto attore-controfigura (ma non solo da questo) come ha analizzato alla perfezione Cristiana Astori nell’ultimo numero di Nocturno. Vi spieghiamo solo perché questo film, a differenza di Bastardi senza gloria ci è piaciuto.
Il film di Tarantino inserisce nel finale la fake history: la sera del 8 agosto 1969 gli allucinati seguaci di Manson stanno per entrare a casa Polanski ( ci auguriamo che chiunque appassionato di cinema sappia cos’è successo nella realtà) ma Rick Dalton attirato dal rumore della loro macchina, esce di casa ubriaco e con il suo cocktail in mano. Li insulta e li caccia minacciando di farli arrestare quindi, una volta allontanatesi gli allucinati membri della family decidono di cambiar casa e far visita all’attore appena rientrato a Cielo Drive dai suoi successi in Italia.
Purtroppo per loro, e per fortuna del mondo alternativo che lancia Tarantino, all’interno trovano anche un Cliff Both con la sua Brandy, una femmina di pit bull addestratissima che li accolgono massacrandoli e uccidendoli tutti e tre in un modo che inevitabilmente omaggia anche Profondo Rosso di Dario Argento. Nel finale del crescendo tarantiniano Dalton tira fuori addirittura un lanciafiamme (souvenir di un film di anni prima, ma perfettamente funzionante) per concludere il massacro dei tre.
Cliff viene portato via in ambulanza, è stato ferito e mentre Dalton lo saluta Sebring dal cancello di casa Polanski gli chiede che cosa sia successo. Mentre parlano Sharon Tate dal citofono invita Dalton a salire a casa sua; l’abbraccio dei due attori che interpretano i due attori (una realmente esistita l’altro inventato da Tarantino) chiude il film con Hollywood sullo sfondo.
Ci piace. Forse un po’ infantile e un po’ troppo nostalgico, ma inevitabilmente il senso di questo film non è soltanto lo sfogo di Tarantino che vorrebbe far a pezzi quei bastardi , ma un senso di rammarico per un tempo in cui sicuramente tutto aveva una dimensione più umana.
In cui si poteva camminare per L.A. incontrando star di Hollywood e in cui un attore poteva entrare in un cinema senza scorta.
E’ stato l’assassinio della Tate a far cambiare tutto? Non lo sappiamo, ma inevitabilmente il confronto del futuro che era promesso (dal cinema e dalla società) nel 1969 con quello che ci viene proposto oggi è negativo.
Il film di Tarantino insomma è un’occasione per riflettere sul perché il futuro di macchine volanti, robot, e benessere globale che sognavamo allora si è trasformato in un incubo in cui, se va bene, dovremo sopravvivere alla sesta estinzione di massa che sta avvenendo sul pianeta Terra.
Forse è un caso ma val la pena sottolineare che C’era una volta a… Hollywood esce nei giorni in cui milioni di ragazzi scendono in piazza reclamando il diritto ad avere un futuro su questo pianeta. E allora, forse non il punto da analizzare del film di Tarantino non è tanto “what if“, cioè cosa sarebbe successo se qualcuno avesse fermato per tempo quei maledetti bastardi; ma “why?” il futuro non sia più quello di una volta.
J. Mnemonic