Dicevamo pochi giorni fa che la mole di informazioni a disposizione di un utente web è praticamente infinita. Forse un infinito di ordine inferiore alla stupidità umana, ma tant’è.
Basta un poco di tempo da dedicare alle domande che abbiamo in mente e quasi sempre giungono dei dati in nostro aiuto che possono aiutarci a formulare delle risposte.
Del resto lo ripetiamo dall’inizio della pandemia agli addetti ai lavori: basta opinioni, fornite i dati.
Quindi ci siamo chiesti perché non andiamo a dare un occhiata a quello che raccontano i numeri degli stati Usa, faro eterno della democrazia occidentale e della sua esportazione? Vista l’estremizzazione dell’odio partitico causato dal (brutto) fenomeno Trump sicuramente, fra i 51 che compongono l’Unione, ci saranno degli stati abbastanza omogenei che hanno preso provvedimenti diversi. Verificando i dati si può avere una buona idea sul funzionamento di questi.
Quest’articolo della CNN ad esempio ci permette ad esempio di distinguere quali stati hanno messo l’obbligo delle mascherine e quali no.
Attenzione, per “mask required” si intende (a quanto abbiamo capito e non escludendo provvedimenti diversi localizzati) l’obbligo della mascherina in ambienti pubblici chiusi (bar, uffici e trasporti) o al limite in zone a “rischio assembramento”, a quanto ci risulta nessun stato ha messo norme che obblighino a portare la mascherina ovunque all’esterno.
Alcune ulteriori delucidazioni preventive.
1) Quando parliamo di uno stato a bassa densità abitativa (abbiamo preso il valore limite di 20 ab/kmq) come ad esempio il Nevada (10,9 ab/kmq) bisogna esser coscienti del fatto che in quel numero ci sono anche i valori della città di Las Vegas che ha una densità abitativa di oltre duemila ab/kmq. Questo può dar luogo a fenomeni localizzati completamente diversi e opposti alla filosofia della nostra divisione arbitraria (stati con alta densità, maggiore facilità di diffusione del virus).
2) Abbiamo quindi messo a confronto gli stati a media densità abitativa (Tra 20,1 e 130 ab/kmq). Questi valori sono stati scelti per permettere un confronto decente fra un buon numero di stati, perché nessuno degli stati “no mask required” ha una densità maggiore di 126 ab/kmq e fare ulteriori suddivisioni rendeva il confronto quasi inutile.
3) Ne consegue che gli stati ad alta densità abitativa (maggiore di 130 ab/kmq) come New York (tutti “mask required”) non fanno quindi parte di questo confronto. Altresì abbiamo arbitrariamente escluso le Hawaii e l’Alaska per le loro peculiarità geografiche.
4) Parliamo di stati “mask required” e di stati “no mask required” ma è lecito supporre che oltre alle mascherine anche le altre misure di epidemiologia difensiva (il famigerato distanziamento sociale) siano più rigide negli stati in cui c’è questo obbligo. Tuttavia tralasciamo qui di quantificarle perché scendere nel dettaglio dei singoli stati Usa è arduo e non ci è qui di aiuto neanche l’indice di Oxford sulle misure restrittive visto che riporta solo gli Usa nel suo complesso.
5) i dati della densità abitativa degli stati uniti sono presi dalle pagine di wikipedia, i dati dei contagi e dei decessi (aggiornati al 5 aprile 2021) dalle pagine interattive del Financial Times che a sua volta li prende dalla John Hopkins University.
Da questi dati abbiamo una conferma e una sorpresa.
La conferma è che l’uso delle “mascherine” (non consideriamo il tipo di queste) nei luoghi chiusi hanno un effetto molto moderato sulla riduzione del numero dei contagi. Questi numeri indicano un valore intorno al 20% su cui, del resto, si orientano anche altri confronti su ciò che riguarda l’epidemiologia difensiva in genere.
La sorpresa è che sembrano avere un maggiore efficacia negli stati a bassa densità abitativa, cosa che ci sembra assolutamente contro-intuitiva, seppur con tutti i limiti di questa “valutazione dati” di cui abbiamo già detto.
Ci asteniamo a formulare ipotesi in merito perché bisognerebbe entrare davvero nel dettaglio di ogni stato; ci limitiamo a far notare che la rumorosità dei dati è tale che, mascherine o meno, ci sono stati “no mask required” con meno contagi di uno stato “mask required” a densità paragonabile (vedi ad es. Idaho e Utah).
La brutalità dei dati economici
Dobbiamo invece dire che non siamo rimasti per nulla sorpresi quando abbiamo unito l’andamento i numeri dei morti per Covid19 negli stati Usa al rispettivo ranking per ciò che riguarda la qualità dell’health care. La classifica è stata stilata da U.S. News.
Già ci risulta chiaro come l’andamento del numero di morti in un epidemia sia fondamentalmente legato alla qualità del sistema sanitario (per maggiori informazioni su come sia stata stilata la classifica leggere lo studio sopra citato).
Se l’associazione di questo grafico sembra un po’ debole proviamo ad evidenziarla con una correzione arbitraria. Ovvero togliamo l’anomalia degli stati Usa dove la pandemia si è sviluppata prima che negli altri (New York, New Jersey, Rhode Island, Connecticut, Massachussets).
Questo perché è lecito, secondo noi, supporre che nella prima fase dell’emergenza gli stessi problemi nel trattamento dei malati gravi si sono riscontrate anche in Usa, quindi i medici di questi stati (pur ai vertici del ranking nella qualità del loro health care) abbiano avuto difficoltà che nella seconda fase di espansione della pandemia poi si sono superate.
La fortissima associazione rende evidente come la differenza fra avere un sistema sanitario più o meno di qualità (e sottolineiamo di essere comunque all’interno del contesto degli stati Usa, non stiamo certo confrontando la Germania con il Sudan) possa fare la differenza nel numero di decessi (che poi è quello che ci interessa) addirittura in un fattore 2. Ovvero, in estrema e brutale sintesi, questi numeri ci stanno dicendo che, in una pandemia virale di questo tipo, uno stato come il Mississippi all’ultimo posto del ranking usa per health care, molto probabilmente andrà incontro al doppio dei morti (in proporzione al numero di abitanti) che avranno le Hawaii.
Questo magari sarebbe da tenere a mente quando leggete gli articoli in cui il (mancato) salvatore del paese, Mario Draghi, sta presentando un piano di spesa del Recovery Fund che, semmai davvero arriverà, sarà speso solo in minima parte per ripristinare il Sistema Sanitario Nazionale ma sarà nuovamente sperperato in edilizia (nonostante il numero di case italiane non abitate e delle proprietà demaniali abbandonate) e Grandi Opere (Tav e altre follie) secondo la consueta usanza italica di fare buche e richiuderle con la scusa di pagare lo stipendio a qualcuno, mentre i soliti si spartiscono l’appalto subappaltato.
En passant, abbiamo scritto “se mai arriverà” non in omaggio al nostro pessimismo cosmico ma perché attualmente il Recovery Fund è in attesa della decisione della Corte Costituzionale Tedesca di Karlsruhe la quale ha accolto il ricorso di un partito di nazionalista. La Germania infatti, costituzionalmente parlando, non può essere esposta a rischi economici derivanti dall’insolvenza di altri Stati. Cosa che invece con il Recovery Fund accade. Angela Merkel consapevole di questo fatto ha convinto il parlamento a far approvare il RF assicurando che sarà una cosa straordinaria e non ripetibile. Tuttavia la corte ha preso tempo per esaminare tutte le carte, i rischi, e i piani di ogni singolo stato. Quindi state tranquilli e. come si suol dire, mettetevi comodi perché non sembra che sia una questione di ore e neanche di giorni per la sentenza. Si parla di mesi.
Obbedisco!
Ci sono 27 stati Usa governati dal Great Old Party (Repubblicani) e 24 dai Democratici in questa pandemia, sorprende un poco vedere che mentre i democratici hanno adottato tutti la stessa linea in termini di “mask required” (24 su 24 hanno messo l’obbligo) ogni governatore repubblicano ha fatto di testa sua (16 non hanno messo l’obbligo e 11 sì).
La battaglia politica contro Trump ha senz’altro avuto i suoi effetti e l’impresentabile tycoon da tempo aveva spaccato il GOP probabilmente molto più a fondo di quello che pure hanno detto le recenti elezioni.
Tuttavia, non riusciamo proprio a ritenere ammissibile che impostare battaglie politiche sulla gestione di un emergenza sanitaria rientri nei confini di ciò che pensiamo essere Democrazia.
Ci piacerebbe pensare che tutto quello che sia successo ci abbia reso “migliori” come pretendevano alcuni slogan di un anno fa. Tuttavia il nostro essere realisti che ci portava a guardare ciò che succedeva con molto allarme per tutto ciò che riguardava diritti civili, cultura, lavoro ed economia e quindi (di conseguenza) gestione stessa del virus, che molti consideravano “pessimismo” si sta rivelando essere stato di gran lunga ottimista.
In questo momento storico riteniamo che il nostro compito possa essere solo quello di lasciare testimonianze per i posteri. Testimonianze sul fatto che non tutti ci siamo fatti sommergere dalla disinformazione dilagante (che definire terrorista sembra pure riduttivo, dopo il disastro mediatico che ha portato anche all’assurda sospensione del vaccino AstraZeneca) ma in molti abbiamo continuato a usare quelle celluline grigie tanto care a Hercule Poirot.
Perché forse non possiamo sapere quanti colpi di coda ci riserverà ancora questa pandemia ma, statene certi, fra qualche decennio, leggendo le cronache di quello che è successo, qualcuno prima o poi chiederà ai superstiti: “ma eravate tutti rincoglioniti?”
Alessandro Chiometti