Il 18 Giugno 2010 moriva a Tias, nelle isole Canarie, uno dei più letti e acclamati scrittori contemporanei, ovvero Josè Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998.
Dopo la sua morte la stampa cattolica ha dato sfogo a tutto il suo rancore verso uno degli atei più illustri e famosi, con articoli ed editoriali che della presunta pietà cristiana non avevano traccia alcuna.
Ovviamente tanto astio era dovuto al successo ottenuto da uno dei suoi libri più belli, "Il vangelo secondo Gesù Cristo", che rendeva un grande omaggio alla figura umana di uno dei personaggi storici più noti di tutti i tempi ma al contempo ridicolizzava i progetti divini creati attorno a lui.
Come se non bastasse lo scrittore lusitano era tornato a calcare la mano sul tema religioso con il suo ultimo romanzo “Caino”, uscito in Portogallo nel 2009 e in Italia nel 2010, proprio pochi giorni prima della sua morte.
Chi, come me, è rimasto entusiasta del “Vangelo secondo Gesù Cristo” dove sono contenute alcune delle pagine di letteratura più belle di ogni tempo, si è trovato un po’ spiazzato dalla rapidità e dalla semplicità con cui Saramago ha trattato i temi biblici del Antico Testamento.
In pratica lo scrittore fa attraversare al più antico omicida della storia (ebraico-cattolica) i secoli rendendolo testimone delle strampalate e risibili azioni di un dio rancoroso e vendicativo e soprattutto incomprensibile ai più, costringendolo ad affermare che "la storia degli uomini è la storia dei loro fraintendimenti con dio è la storia delle loro incomprensioni, né noi capiamo lui, né lui capisce noi”.
Come dicevo però le pagine di “Caino” sono ben lungi dall’avvicinarsi a quelle vette supreme del “Vangelo secondo Gesù Cristo”, ciò a detta di alcuni è dovuto alla contaminazione dello scrittore con i mezzi informatici dei blog (Saramago ne ha tenuto uno per quasi un anno) cosa che ha reso arido e sintetico il suo stile.
Tuttavia, a mio modesto giudizio, il motivo di questa differenza è più “a monte”, cioè dobbiamo tener presente il substrato che stiamo trattando.
Personalmente ritengo realmente difficile trattare in maniera moderna e filosoficamente passabile testi scritti 4000 anni fa (millennio più, millennio meno) per influenzare e comandare pastori e agricoltori ben lontani dall’aver conosciuto umanesimo, rinascimento e illuminismo.
Insomma un conto è parlare dell’enorme figura del Cristo (“inumano è pur sempre l’amore di chi rantola senza rancore” diceva De Andrè), un conto è parlare di testi che riletti oramai da menti illuminate e pensanti rendono la figura di dio una barzelletta.
Insomma si può parlare seriamente di un dio che per scommessa complica la vita al più devoto degli umani? O di un dio che se ne frega delle conseguenze delle sue azioni sugli innocenti? Di un dio che rifiuta l’offerta dell’agricoltore Caino per preferire quelle dell’allevatore Abele ben onnisciente di cosa avrebbe provocato?
Suvvia, siamo seri. Mettere le mani su questa accozzaglia di stupidaggini e renderle apprezzabili ad un pubblico illuminato ed adulto è un impresa improba anche per i premi Nobel.
Non è un caso infatti che la religione cattolica non riesca mai a diventare adulta. Fin quando rimarrà aggrappata a delle radici cosi misere, ovvero l’idea di un dio onnisciente e onnipotente che controlla e giudica ogni nostro pensiero ed azione, è del tutto logico e conseguenziale.
Così questo libro lascia un po’ di amaro in bocca a noi che abbiamo amato Saramago (e che lo ameremo sempre); tuttavia, ripeto la colpa non va attribuita (almeno non interamente) allo scrittore ma anche al substrato di cui tratta.
Come l’albatro di baudelariana memoria, l’ultimo volo letterario di Saramago è impedito da lacci biblici che lo tengono ancorato a miserie risibili.
Ed è senz’altro un peccato
J.Mnemonic