"Dio è escluso dalla vita pubblica", lamenta Giuliano Ferrara in un
convegno. Ma il diretto interessato, Dio, non ha facoltà di replica. E
magari, di partecipare alla vita pubblica, non ha alcuna voglia, sentendosi,
almeno lui, davvero super partes, al di sopra per definizione. Perchè
ilproblema, nella continua
evocazione del padreterno da parte di questo e di quello, del vescovo come
del sottosegretario, del filosofo come del deputato, sta esattamente in
questo: nella stridente sensazione che i servitori di Dio se ne servano a
mani basse. Curioso, poi, che di questo tipico peccato di empietà (usare Dio
come timbro per pratiche politiche e faldoni medico sanitari) ce ne rendiamo
conto più facilmente noi miscredenti, e assai di meno i devoti. Che stanno
prendendo (anzi riprendendo, dopo un breve evo di forzata prudenza) la
cattiva abitudine di usare Dio come spiegazione corrente di atti, idee,
abitudini morali contratte dagli uomini. Niente è secolarizzato quanto i
dogmi e le dottrine, frutto di decisioni umane, di guerre e di politiche, e
infatti variabilissime a seconda della latitudine e del periodo
storico. Sarebbe
elegante, dunque, non tirare per la giacchetta Dio attribuendogli cose che non
lo riguardano. Se uno è contro l'aborto o favorevo le alla castità dei
preti, lo faccia almeno nel nome di se stesso, abbia il coraggio delle
proprie idee, e lasci Dio nel suo indecifrabile silenzio.
da Repubblica del 13 ottobre 2005