* Umberto Veronesi su La Repubblica del 4/1/2008
La proposta di una moratoria per l'aborto andrebbe spiegata alla gente, prima che dibattuta in politica. Non tutti infatti hanno capito cosa vorrebbe dire in sostanza. Se è un appello a non praticare l'interruzione volontaria di gravidanza, allora va contro la legge; se istiga a far nascere un neonato, anche con malformazioni gravi, destinato a non sopravvivere, allora è un invito alla crudeltà. Se invece rappresenta un'apertura alla riflessione sull'aborto, perché si crei più conoscenza e più responsabilità (soprattutto da parte dei maschi), con l'obiettivo di incrementare il livello di educazione sessuale e diffondere i principi della prevenzione, allora può essere un'occasione per un dibattito profondo.
Non ci son più dubbi: se si vuole evitare l'aborto bisogna mettere in
atto delle misure preventive, che stanno nell'uso corretto delle
pratiche anticoncezionali. Infatti una parte significativa delle
interruzioni avviene per gravidanze non volute. Ora, obbligare una
donna ad avere un figlio non desiderato significa da un lato infrangere
il diritto all'autodeterminazione e alla libertà di scelta individuale,
dall'altro far nascere un bambino non amato dai genitori, che non potrà
che crescere infelice ed emarginato quando non finirà in un cassonetto.
Quindi l'interruzione di gravidanza, che oggi può essere ottenuta con
la semplice assunzione di una pillola (la RU 486), è una scelta del
male minore, come ha accennato ieri Massimo Cacciari, e come direbbe
Paul Ricoeur.
L'aborto è un evento drammatico e traumatico che tutti –
indipendentemente da idee, convinzioni e principi – vorrebbero evitare:
la legge 194 nasce per tutelare chi invece si trova costretto ad
affrontarlo. Si tratta di una legge civilmente avanzata che si basa sul
fondamento che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione
cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e
promuove la cultura della prevenzione. Il valore aggiunto di questa
legge è allora proprio quello di introdurre nell'ordinamento giuridico
delle finalità sociali e sanitarie, che invitano all'informazione e
alla presa di coscienza dei cittadini, nel pieno rispetto del loro
diritto all'autodeterminazione e alla libertà di scelta.
Non è un caso che i tempi della sua approvazione, nel '78, furono tempi
di dibattito acceso, politico ma soprattutto popolare, di
manifestazioni nelle piazze e di cortei, che si conclusero con un
referendum che raccolse una maggioranza a favore così schiacciante da
soffocare qualsiasi voce contraria. I risultati hanno dato ragione alla
popolazione perché – in numero di aborti dagli anni '80 ad oggi è
diminuito drasticamente. Il problema è piuttosto che la componente
principale della legge, vale a dire la prevenzione e l'educazione
sessuale per l'uso cosciente e sistematico dei metodi anticoncezionali,
e la conseguente attivazione dei servizi socio-sanitari, non è stata
applicata come previsto.
Vi sono anche casi legati alla povertà, che riguardano cioè coppie che
desidererebbero un altro figlio, ma non hanno nessun mezzo economico
per allargare la famiglia e dunque, se capita una gravidanza, si
trovano costretti ad interromperla. È palese che occorrerebbero nuove
misure sociali che tengano conto anche di quella parte di popolazione
che oggi nel nostro Paese ancora "non può permettersi" di avere un
altro bambino.
Ridurre l'interruzione di gravidanza è un obiettivo che va perseguito
in ogni campo e con ogni mezzo. Nella mia professione di medico ho
combattuto anch'io la mia battaglia. Mi sono battuto per non
interrompere la gravidanza quando si manifesta un tumore al seno e
neppure quando la gravidanza occorre in una donna già operata. Fino a
pochi anni fa, l'aborto era un dogma intoccabile nel caso di tumore
mammario, e io mi sono impegnato per dimostrare scientificamente che
una gravidanza a termine non fa male né durante né dopo la malattia;
anzi, in qualche caso, potrebbe avere valore protettivo. Questa
conoscenza ha fatto nascere centinaia di bambini e reso felici
altrettante donne, che inutilmente avrebbero sofferto un doppio dramma,
quello della malattia e quello della mancata maternità.
Una prova in più, dunque, che è con l'informazione e l'educazione, e
non con il proibizionismo, che si combattono i mali. La lotta a un
grande male, come l'aborto, se viene combattuta con una misura
repressiva, come la proibizione, conduce ad un male ancora più grande,
che è la clandestinità delle pratiche abortive, a svantaggio dei più
poveri e dei più deboli. Invece l'intervento sulle cause che sono
all'origine di ogni male, conduce alla via giusta: impedire che accada.