Un creatore…

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…è proprio necessario?

Alle nostre latitudini, in primavera, più che nelle altre stagioni, è
possibile farsi rapire l'attenzione da piante in fiore, arbusti che
germogliano, alberi cui rinasce la chioma.
Ogni anno mi faccio galvanizzare dall'energia propositiva delle
foglioline che spuntano, con quel verde nuovo; ahimé, le sopraffazioni
e le altre brutture dell'umana società non ne vengono cancellate, ma,
se non altro, per qualche lungo attimo relegate ai margini della
galassia.

Nessuno mi ha mai suggerito, tantomeno imposto per mezzo di qualche
presunta parola divina, in che modo osservare flora e fauna. Un fiore
dai petali di colore vivido, con la sua bellezza, può colorarmi una
giornata. Il punto è: perché da questa meraviglia sempre rinnovata
dovrei "saltare" a credere in un dio, o in molteplici?
Per me non manca nulla allo spettacolo, se invece di un regista
superiore ne intravedo uno diffuso, che per convenzione chiamiamo
"natura".

Il discorso si fà meno semplice se del divino abbiamo necessità per
combattere la paura della morte. Uso volutamente il verbo "combattere"
e non "vincere" perché posso vedere che anche per molti credenti in
qualche dio la partita con il "dopo" non è affatto chiusa, nonostante
la fede che professano. Se lo fosse, chiusa, non si spiegherebbe – un
esempio fra i molti possibili – perché cerchino di rimandare la tanto
decantata "vita eterna", curandosi in caso di malattie con decorso
altrimenti mortale: non e' dio che li chiama a sé? È pur vero che li
separa dagli affetti, ma non li ritroveranno infallibilmente dall'altro
lato, dove basta attendere fiduciosi?

Ma forse trascuro la possibilità che vogliano rimanere il più possibile
nell'aldiqua, perseguendo il fine tenacemente con ogni mezzo conosciuto
(in casi estremi, comprando organi altrui!), per accumulare più meriti,
da vedersi riconosciuti nel momento di un giudizio che nel caso del
mondo cattolico sarà di portata addirittura "universale".

Visti dall'esterno – espressione neutra per "senza fede" – i punti di
forza, ossia di presa psicologica sui punti deboli dell'essere umano,
delle religioni sono facilmente individuati. È evidente come diano
delle risposte a domande che l'umanità ha dai primordi avuto in sé,
anche quando i suoi mezzi espressivi non comprendevano ancora il
linguaggio articolato o la stampa.

Quello che invece trovo meno chiaro, ma anzi, particolarmente oscuro, è
perché da questa "presa" (e quindi potere) spirituale ne debba
discendere uno politico, cioè di indirizzamento delle regole che una
società si dà attraverso le leggi.
Non solo gli esseri umani non sono tutti credenti in uno o più dei, ma
anche fra quelli che ci credono, ci sono "filoni" diversi, a seconda di
quale parte della terra ci vede nascere e crescere.

A mio avviso, la compresenza di religioni differenti ciascuna della
quali dotata del suo unico dio rimane una delle indicazioni più
lampanti, per non dire divertenti, di quanto sia umana, e perciò
convenzionale, tutta l'impalcatura fideistica. Osservazione che
potrebbe essere rivolta anche alle scienze, le quali però per metodo
sottopongono le loro affermazioni a verifiche ed aggiornamenti!

Vedo che per paura si può diventare fedeli di tutto o quasi, ma non mi arrendo all'ipocrisia.

11 Aprile 2005   |   articoli   |   Tags: