Luigi Tosti: Divieto di laicità – Rimozione forzata

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una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge

Fabrizio De André, Sogno Numero Due in “Storia di un Impiegato”.

Roma, 22 Gennaio 2010: udienza al Csm[1] per procedimento disciplinare nei confronti di un giudice.

Protagonisti:

L’ACCUSA: lo Stato italiano, nelle vesti del Csm;
L’INCOLPATO: il giudice Luigi Tosti;
LA DIFESA: il giudice si difendeva da solo.

1) IL PASSATO
Vediamo, riassunte, le vicende che hanno portato a questa richiesta di procedimento disciplinare: il giudice Tosti, a partire dal Maggio del 2005 fino al Gennaio del 2006 (quando viene sospeso dalle sue funzioni), si è rifiutato di tenere udienze in aule in cui fosse esposto il crocifisso, simbolo della religione cattolica.

Inoltre, nel frattempo:

– non ha accettato l’offerta di tenere le stesse udienze in un’aula appositamente predisposta (cioè senza il crocifisso), per non essere “ghettizzato”;

– non è stata accettata la sua richiesta di poter esporre un altro simbolo religioso (la Menorah ebraica), con la seguente motivazione: la non esistenza di una legge che ne preveda l’affissione (questo in assenza di una legge che impone l’affissione del crocifisso cattolico!).

È stato processato per “omissione di atti d’ufficio” dalla giustizia penale a partire dal 2005: in primo grado ed in Appello, a L’Aquila, è stato condannato a 7 mesi di reclusione e un anno di interdizione dai pubblici uffici.

La Corte di Cassazione, il 17/2/2009, ha contrastato le motivazioni dei precedenti giudizi, mettendo in rilievo, in particolare, la valenza del “principio costituzionale di laicità dello Stato e … la garanzia, pure costituzionalmente presidiata, della libertà di coscienza e di religione” e lo ha assolto “perché il fatto non sussiste”, con motivazioni molto interessanti[2].

Il magistrato era già comparso davanti alla sezione disciplinare del Csm che, nel 2007, lo aveva condannato alla sanzione dell’ammonimento.

2) IL PRESENTE
Ed arriviamo al 2010.

Il Csm, nella figura del Procuratore Generale, lo ha giudicato dicendo ripetutamente di non voler entrare nel merito delle motivazioni del suo comportamento, ma solo per gli effetti dello stesso, ovvero l’essersi sottratto ad un suo dovere d’ufficio, presentando dei veri e propri ultimatum[3], mettendo in difficoltà i tribunali che dovevano sostituirlo[4]; non solo: come ha sottolineato il Procuratore Generale, Tosti ha messo in dubbio la professionalità dei magistrati e “leso l’immagine e il prestigio dell’istituzione giudiziaria”.

Per la gravità del comportamento pregresso e, come se non bastasse, di quello futuro (come da dichiarazioni dello stesso Tosti), la sanzione richiesta dall’accusa non poteva quindi essere inferiore alla rimozione dalla magistratura, vista la situazione di “vulnus/ferita non rimarginabile” che si era delineata; concetto ribadito in chiusura di requisitoria[5], quando è stato detto che “qualunque sanzione inferiore non sarebbe accettabile”.

Tosti aveva con sé molta documentazione, relativa alle “memorie” che ha presentato negli anni durante le varie fasi dei procedimenti da lui subiti; si era portato anche una “pera metallica”: un oggetto che nel Medioevo veniva usato, fra molti altri, come strumento di tortura dai rappresentanti della Santa Inquisizione.

Egli ha inizialmente fatto presente che, se non si fosse entrati nello specifico delle motivazioni del suo comportamento, i giudici avrebbero potuto emettere subito la sentenza di condanna: quelle motivazioni (che peraltro la Corte di Cassazione ha preso in considerazione), infatti, non sono affatto trascurabili.

Di seguito, un elenco delle argomentazioni da lui articolate, con la precisazione che verranno riportate in forma sintetica per motivi di spazio: chi fosse interessato ad un approfondimento, può andare alla nota n.6.

– Sulla Laicità: l’uguaglianza di fronte alla legge vale anche per quanto riguarda l’aspetto religioso. Il magistrato deve essere imparziale, come obbligo costituzionale, così come deve essere garantita la libertà religiosa per tutti, dipendenti del Ministero di Giustizia e cittadini italiani; lo Stato, dal canto suo, deve presentarsi come equidistante, imparziale, neutrale;

– la non esposizione di altri simboli religiosi o del logo dell’Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) non è permessa perché non prevista per legge, quando nemmeno per il crocifisso ce n’è una che ne giustifichi la presenza[7]: si tratta di un palese atto discriminatorio, indice anche di una forma di “razzismo religioso”;

– come giudice, sarebbe tornato al lavoro nelle aule se fossero state garantite condizioni modificate: o nessun simbolo religioso o tutti quelli creati dall’Umanità nella sua Storia (a meno che alcuni non li si voglia considerare “scaduti” perché nessuno crede più ai relativi dei…);

– il suo rifiuto di lavorare sotto un crocifisso non costituisce un caso di obiezione di coscienza, che è prodotto da un’opposizione personale ad una legge che si ritiene ingiusta, è invece un caso di denuncia di violazione di un diritto individuale ed universale quale quello di non essere discriminato per motivi religiosi;

– esempio del giuramento che si presta quando si è testimoni in un processo: la formula attuale non prevede più riferimenti ad una divinità e/o alla Bibbia, e questo è stato ottenuto perché qualcuno si era rifiutato pronunciare un giuramento dalla formulazione discriminatoria (nei confronti di chi credeva in un altro dio o in nessun dio; anche in questo caso, quindi, si trattava di una violazione del diritto di non essere discriminati per motivi religiosi).

Non sarebbe accettato, invece, il rifiuto del giuramento per motivi religiosi, perché non c’è una legge che preveda l’obiezione di coscienza al giuramento.

3) CONSIDERAZIONI PERSONALI
Al termine dell’udienza, il mio stato d’animo era di amarezza: avevo visto che l’Italia ritiene di potersi permettere la perdita di un giudice con esperienza e preparazione, e di non applicare un supremo principio costituzionale come la la Laicità dello Stato, pur di non avere dissidi con il Vaticano.

Vaticano che è uno “Stato straniero” quando fa comodo alle sue gerarchie per motivi di Concordato o di non trasparenza dello IOR[8] (due esempi fra i diversi possibili), ma è uno “Stato nello Stato (italiano)” quando mette il suo esclusivo simbolo nei nostri luoghi pubblici, quando prende i soldi dell’8per1000, quando la sua religione, e solo quella, viene insegnata nelle scuole pubbliche a partire da quelle materne.

La Laicità ci verrà imposta per legge dall’Europa. Forse, allora, i molti, troppi che saranno sorpresi e contrariati da ciò, andranno a cercare il significato di quel basilare concetto sul caro, vecchio vocabolario: onestà intellettuale permettendo, potranno così riscoprire che si tratta di una garanzia e di una forma di rispetto per tutti, credenti e non credenti.

Per ora, è più semplice rimuovere un giudice che rivendica la Laicità dello Stato, piuttosto che rimuovere l’anomalia della presenza ingiustificabile[9] di migliaia di crocifissi nella aule dei tribunali, delle scuole e di tutti gli altri luoghi pubblici italiani.

Penso che le chiese, gli edifici di culto della religione cattolica, siano i luoghi dove i crocifissi sono al loro posto (e nessun laicista chiede di andarli a rimuovere da lì!); in tutti gli altri luoghi pubblici, sono evidentemente fuori luogo.

A conclusione di questo approfondimento, desidero ringraziare sentitamente Luigi Tosti per averci ricordato che esiste la possibilità di ribellarsi a quanto non si ritiene giusto, che si può intraprendere la difficile e non breve strada per far valere le proprie ragioni, e che, comunque vadano le cose, ci si è battuti per la propria dignità di esseri umani pensanti.

Ribellarsi è giusto!
Per uno che si muove
tutto il mondo può guardare
È giusto!
Un gesto di rifiuto
contro un avvenire uguale di un fascismo conosciuto

Assemblea Musicale Teatrale, Ribellarsi è giusto in “Marilyn”.


Nicoletta Bernardi

Versione Completa (contiene anche le note)

 

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