C’erano una volta le femministe italiane, pronte a lottare strenuamente contro una visione maschilista che toglieva alla donna la sua dignità di persona in famiglia, nella società, nel lavoro, nelle sue scelte personali e sessuali. L’emancipazione che hanno faticosamente conquistato – e che ci ha lasciato in eredità traguardi di civiltà fondamentali come la legge sul divorzio e sull’aborto, l’introduzione degli anticoncezionali chimici, la parità legale dei sessi – pare essersi trasformata, nell’era berlusconiana, in un apprezzato modello di commercializzazione del corpo femminile.
La Tv spazzatura, di cui il nostro presidente del Consiglio è ed è stato il primo spacciatore, ha iniziato negli anni Ottanta a inondarci di femmine oggetto, rigorosamente seminude, che allietavano a mo’ di soprammobili le trasmissioni televisive per la gioia del maschio italiano, target indiscusso della comunicazione mediatica. Ma, tempo vent’anni, lo stereotipo della ragazza bella ma stupida, la ‘velina’ per intenderci, è uscito dal ruolo strettamente televisivo per approdare alla vita politica del Paese e modificare, nella testa degli italiani, quella concezione di rispetto della donna che l’altra metà del cielo aveva così faticosamente conquistato con le lotte femministe degli anni Sessanta e Settanta.
Gli scandali sessuali – oramai in secondo o terzo piano – del presidente del Consiglio, i festini a villa Certosa o a palazzo Grazioli, pieni di ragazze piacenti e disponibili, le presunte avventure con la minorenne Noemi che lo chiamava ‘Papi’, le liste elettorali brulicanti di soubrette, veline o ‘accompagnatrici’ senza alcuna competenza (almeno politica), non scandalizzano neanche più, pare siano ormai parte di un lecito (e persino ammirato!) binomio sesso-potere. Idem per le ricorrenti esternazioni di Berlusconi su questo tema, dallo sfacciato insulto a Rosy Bindi “Lei è più bella che intelligente” alla rivoltante ultima battuta durante il colloquio con il presidente albanese Sali Berisha a proposito dell’inasprimento della sorveglianza verso gli scafisti: “Faremo eccezioni solo per chi porta belle ragazze”. Naturalmente le ‘belle ragazze’ di cui parlava Berlusconi sono le schiave del sesso, come la scrittrice Elvira Dones, albanese, ha rimarcato in una toccante lettera pubblicata da Repubblica.
Ora, a pochi giorni dallo scandalo dei massaggi ‘a luci rosse’ che ha investito un altro uomo del presidente, Guido Bertolaso, è la volta di una nuova favorita del premier, l’igienista dentale (e ballerina) Nicole Minetti, conosciuta da Berlusconi durante la permanenza al San Raffaele di Milano in seguito all’aggressione di cui è stato vittima. La ragazza, storia e competenza politica zero come tutte le donne del presidente, verrà candidata come consigliere alla Regione Lombardia.
D’altronde, l’acme della ‘velinocrazia’, come è stata da molti battezzata, la troviamo proprio nel Consiglio dei ministri: Mara Carfagna, apprezzata spogliarellista, dopo una metamorfosi che la vede (ora) in castigatissimo tailleur grigio e visetto acqua e sapone, presiede niente di meno che il ministero delle Pari opportunità. E, come diceva Peppino in ”Totò, Peppino e la malafemmina”, ho detto tutto.
Che questa concezione della donna-orpello promossa dal presidente del Consiglio con il beneplacito di molti italiani stia dilagando a dismisura è noto e, per le donne pensanti, sempre più umiliante. Ma finora potevamo credere che fosse relegata a una fascia di popolazione ben definita, quella della destra incolta o degli indifferenti che si nutrono di calcio, Grande fratello, Uomini e Donne, centri commerciali e immondizia simile. Per un motivo o per l’altro, politico o ‘culturale’ che sia, tutta gente che ruota intorno alla corte di re Silvio.
Ci sbagliavamo. La sinistra si adegua, seppur con ritardo, al Berlusconi pensiero, come ci dimostra la campagna di tesseramento di Rifondazione comunista che esordisce con un manifesto in stile Bagaglino.
Un tacco a spillo spropositato, Villa Certosa style, prelude al messaggio: ‘Mi iscrivo a Rifondazione perché… sono una donna di classe’. Della serie, le comuniste non vanno più i giro con gonnellone démodé e scarponi da cantiere, si sono evolute! Come scrive Alessandro Robecchi su Micromega, “manca solo il tubino nero, e poi tutte alle feste di papi!”
E infatti ecco cosa dice Rosa Rinaldi, responsabile della Comunicazione del partito: “Volevamo fare delle inversioni di senso, spiegare con ironia che la classe non è un luogo separato. Le nostre donne sono normali, non sono trinariciute, ingolfate dentro giubbotti punitivi. Quando finiscono di lavorare indossano scarpe eleganti, escono e vanno a ballare“.
Il modello Berlusconi ha agito dunque per osmosi, raggiungendo angoli insospettabili della politica, permeando gli strati di società storicamente più resistenti, diventando addirittura un riferimento culturale per l’intero Paese.
E ciò che avrebbe fatto urlare di sdegno le femministe degli anni Settanta, oggi non trova altro che prona e annoiata assuefazione.
Cecilia M. Calamani – Cronache laiche