Il prossimo 23 marzo la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sulle norme del Codice civile che vietano il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In occasione dell’appuntamento, Affermazione civile ha pubblicato l’appello “Sì, lo voglio” che vede come primi firmatari Ivan Scalfarotto, vice presidente dell’Assemblea nazionale del Partito democratico, e Sergio Rovasio, segretario dell’Associazione radicale Certi Diritti.
Il problema dei matrimoni tra persone dello stesso sesso sta diventando sempre più preponderante nel mondo omosessuale, anche in relazione al vuoto legislativo sulla tutela delle coppie di fatto. Se le coppie eterosessuali, per ottenere i diritti familiari (pensione, eredità, tasse, immigrazione, abitazione), possono sempre ricorrere al matrimonio civile, le coppie omosessuali sono ad oggi escluse da qualsiasi diritto e dovere reciproco. Eppure, sono unite dallo stesso vincolo delle altre, l’amore, il desiderio di costituire una famiglia, la condivisione di un progetto di vita insieme.
Ad agosto dello scorso anno, il Tribunale di Venezia, a seguito del ricorso di una coppia gay alla quale era stato negato il permesso di contrarre matrimonio, aveva sollevato alla Consulta il problema, asserendo che non ha “alcuna giustificazione razionale” la norma, “implicita nel nostro sistema, che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso”. Secondo il tribunale, “il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona, riconosciuto sia dalla Costituzione sia a livello sovranazionale“ e “la libertà di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell’individualità. E’ quindi una scelta sulla quale lo Stato non può interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili“.
I diritti delle coppie omosessuali sono sanciti anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ma nulla di tutto ciò è stato ereditato dal nostro Codice civile.
Inoltre, lo stesso Parlamento europeo, con la Raccomandazione del 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani, ha chiesto agli Stati membri di “garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali“.
E in effetti, moltissimi sono gli stati membri che prevedono già il matrimonio omosessuale o che almeno regolamentano i diritti delle coppie dello stesso sesso.
L’Italia, anche su questo, latita, traducendo il peccato cattolico (per la Chiesa l’omosessualità è uno dei peggiori) in divieto civile per tutti.
‘La famiglia è quella formata da un uomo e da una donna!’, si sente tuonare ogni tre per due non solo dalla Chiesa, ma anche dai politici compiacenti. Per toglierci dall’imbarazzo sul significato di famiglia, ecco cosa suggerisce il Dpr 223/89 (Regolamento anagrafico del 30 maggio 1989): “Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune” (art. 4).
Il che significa che una coppia omosessuale convivente è già una famiglia. Continuare a privarla dei diritti che hanno tutti i cittadini (eterosessuali) è solo una ingiustificabile discriminazione in barba al principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali“.
Cecilia M. Calamani – Cronache laiche