Pensando a tutti film-ciofeca che trovano immediatamente una casa di distribuzione e impestano le nostre sale cinematografiche verrebbe da chiedersi perché questo piccolo capolavoro di Alejandro Amenabar (già autore di “The Others” e “Mare Dentro”) ha rischiato seriamente di non uscire nel nostro paese.
Dico, “verrebbe da chiedersi”, perché tutti sappiamo che il motivo per cui ha rischiato di non uscire è che racconta la storia di uno dei tanti scheletri nell’armadio della Chiesa Cattolica.
Ipazia d’Alessandria, eminente filosofa, astronoma e matematica del IV secolo d.c. barbaramente trucidata dai “parabolani” ovvero fanatici religiosi cristiani al servizio del Vescovo Cirillo.
La storia raccontata da Amenabar prende spunto dalle poche informazioni storiche che sono giunte fino a noi: Ipazia, figlia ed allieva di Teone (maestro che, secondo gli storici aveva ampiamente superato) era sicuramente un personaggio influentissimo della comunità di Alessandria, e di questo si trova conferma sia negli scritti di Socrate Scolastico che in quelli di Damascio.
Così come sono certi sia i buoni rapporti tra Ipazia e Oreste, prefetto di Alessandria, sia quelli pessimi dello stesso prefetto con il vescovo Cirillo, che mirava ad avere il potere politico della città.
Altro dato certo è l’aggressione di Oreste da parte di un parabolano di nome Ammonio che da buon integralista pensò bene di fargli capire l’amore per Cristo tirandogli una pietra in testa. Ammonio fu catturato e ucciso dalle guardie di Oreste e il bravo cristiano Cirillo sfruttò l’accaduto per esacerbare ancora di più gli animi proclamandolo martire.
In questo clima di pace e fratellanza susseguente alla venuta del Cristo, Ipazia pagò con la vita la sua vicinanza ad Oreste secondo il sempre valido motto biblico, e quindi anche cristiano, “occhio per occhio, dente per dente”.
Quanto sia implicato il vescovo (Santo e Dottore della Chiesa) direttamente nell’uccisione della filosofa non è dato di sapere con certezza. L’inchiesta che il Santo subì a causa di questo fatto si concluse con un nulla di fatto, anche se è certo che la faccenda gli procurò “non poco biasimo” come sostiene Socrate Scolastico.
Questa la Storia; la trama del film la rispecchia fedelmente aggiungendo qualche tocco interpretativo sulle questioni non storicamente certe come la distruzione del Serapeo, ovvero la biblioteca minore di Alessandria e, ovviamente, aggiungendo un po’ di amore (non corrisposto) di cui Ipazia (nel film Rachel Weizs) era oggetto da parte dei suoi allievi e finanche dei suoi schiavi.
Ne vien fuori un risultato estremamente godibile, in cui la ragione e la filosofia di Ipazia si scontrano con il fanatismo religioso. E quando qualcuno rimprovera la filosofa di “non credere a niente” lei risponde senza dubbi “credo nella filosofia”, chapeau.
Il tutto sotto gli occhi disattenti di un dio troppo distante, veramente troppo distante, per interessarsi di quel che avviene in un piccolo corpuscolo dell’universo.
La fine del film è fin troppo amorevole, con un Ipazia a cui vengono risparmiate le sofferenze per mano di un suo ex schiavo, divenuto cristiano, che per rispetto e amore la uccide prima che gli altri parabolani la raggiungano per farla a pezzi.
La Storia invece purtroppo ci ricorda che ella, nel mese di Marzo del 415, fu sorpresa da un gruppo di cristiani “dall’animo surriscaldato, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli”. (Socrate Scolastico – Storia Ecclesiastica)
Il tutto con cristiana pietà, si intende.
J. Mnemonic