Dell’aborto si sa, è meglio non parlare. Anche nei paesi dove è legale come il nostro la parola aborto è sufficiente a far calare il gelo e il silenzio su qualunque discussione.
I laici che parlano del tema sono in genere sempre sulla difensiva, per aver una minima voce in capitolo devono prima ammettere che si sta parlando di una cosa “brutta” della quale si spera non doverne mai fare ricorso. Solo così possono permettersi di difendere il diritto di scelta della donna su come gestire il proprio corpo, altrimenti non sarebbero mai presi in considerazione.
Come ricorda Chiara Lalli in questo libro (“A. La verità vi prego sull’aborto”, Ed. Fandango Libri €18.00) non è passato molto tempo da quando la donna che non voleva portare a termine la gravidanza era automaticamente considerata pazza, degenerata e indegna di vivere in una società civile.
La situazione è cambiata da allora?
Difficile dirlo, a livello legale ovviamente si, a livello di dramma sociale è mutata in modo sottile in un contesto in cui dalla incriminazione di stato si passa alla subdola instaurazione di sensi di colpa nella donna che ha scelto di abortire.
Non sarà un caso che di tutte le serie della televisione una sola ha avuto il coraggio di presentare la scelta della donna come un diritto a cui non seguono rimpianti (si parla di Grey’s anatomy) mentre in tutto il resto dei casi la questione innominabile viene affrontata solo per stigmatizzare un’eventuale non prosecuzione della gravidanza. A volte per sbrogliare la trama di questi telefilm irrompe la soluzione “aborto spontaneo” a semplificare le questioni e a lavare le coscienze.
Ma a parte la citata serie ideata da Shonda Rhimes nessun sceneggiatore ha gli attributi per far dire a un suo personaggio “si ho abortito, è stata la scelta giusta e lo rifarei”. O nel caso dovesse avere questi attributi intervengono le premurose censure televisive a non mandare in onda gli episodi incriminati.
Eppure stando agli studi recenti citati dalla brava e lucida Chiara Lalli, ben il 72% delle donne che ha abortito ha dichiarato che il beneficio è stato maggiore del danno, e solo il 20% di loro ha sofferto di depressione post-aborto.
La famigerata depressione post aborto, o meglio definita SPA (Sindrome Post Abortiva) che viene propagandata dagli attivisti medici prolife insieme ai rischi di tumore e sterilità causati dall’aborto nonostante che di evidenze mediche in proposito non ce ne siano. In alcuni stati Usa la legge obbliga che la la donna che vuole abortire deve essere adeguatamente informata di tutti questi presunti rischi, in altri stati si arriva all’obbligo di vedere il feto dall’ecografia transvaginale (siamo in Texas, baby).
Allora fa benissimo Chiara Lalli a riportare nel suo libro le parole di Italo Calvino che nel 1975 scriveva a Claudio Magris: “Mettere al mondo un figlio ha un senso solo se questo figlio è voluto, coscientemente e liberamente dai due genitori. Se no è un atto animalesco e criminoso. Un essere umano diventa tale non per il casula verificarsi di certe condizioni biologiche, ma per un atto di volontà e d’amore da parte degli altri. Se no l’umanità diventa- come in parte già è – una stalla di conigli.”
Un sincero plauso all’autrice per aver squarciato il velo di menzogne e di ipocrisia che artificiosamente si crea sempre quando si parla di questi argomenti.
J. Mnemonic