[attenzione spoiler]
[voto: 7.8/10]
Dunque, Arrival non è un film sugli alieni. O meglio è un film sugli alieni ma non è ne’ la classica invasione aliena di “Indipendence day” e neanche il classico film sugli alieni buoni e i terrestri tanto cattivi come ET o Starman.
Per dirla tutta, se proprio vogliamo trovare un paragone è un aggiornamento filosofico del capostipite: “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Spielberg.
“Quindi è un film sugli alieni” direte voi. No.
Gli alieni fanno da contorno a tre cose: il tempo, il linguaggio e la morte.
Il film si apre con una serie di immagini della vita di Louise Banks (una delle linguiste più brave del pianeta) insieme alla figlia che muore appena adolescente per un male incurabile. E qui c’è un indizio, lasciato dal regista Denis Villenueve, sul fatto che il film riguarda il tempo o meglio la nostra percezione del tempo. Ma l’indizio è difficile da cogliere se non si hanno gli occhi di Sherlock Holmes, quindi la maggior parte degli spettatori la linea temporale del film continuerà con l’arrivo degli alieni sulla Terra. Dodici gusci circondano il pianeta in luoghi più o meno senza senso come il Montana (che immaginiamo il corrispondente del Molise per gli americani), o l’Oceano Atlantico o la Sierra Leone.
Louise Banks viene chiamata insieme a Ian Donnelly, fisico teorico, a cercare di comunicare con gli alieni (Eptapodi perché hanno sette gambe) e fargli la domanda “Che siete venuti a fare sulla Terra?”.
Grazie a Louise si inizia una comunicazione difficile perché gli alieni non hanno una comunicazione lineare che segue una linea temporale (come voi che state leggendo queste righe da destra a sinistra e adesso avete appena letto la parola “destra” prima della parola “sinistra”) ma scrivono “spruzzando” la frase già compiuta in cerchi poco differenti l’uno dall’altro che includono già tutto il pensiero che vogliono comunicare.
Più Louise diventa brava a capire il loro linguaggio più ha visioni della sua vita con la figlia, ma nel frattempo gli altri paesi cominciano ad avere paura perché una delle frasi che sono riusciti a tradurre è: “vi offriamo un’arma”.
Louise cerca di spiegare ai militari che conoscono troppo poco della lingua per comprendere se per loro la parola “arma” abbia un significato che non sia ad esempio quello di “strumento” ma la cina schiera le sue truppe e fa precipitare la situazione insieme a un gruppo di Patrioti americani che cercano di far saltare in aria il guscio in Montana.
Quando tutto sembra perduto Louise capisce che l’arma che i tetrapodi vogliono offrire in realtà è il loro linguaggio, allora rompe gli indugi e si lascia portare dentro al guscio da sola dai tetrapodi. In un incontro diretto con loro capisce che conoscere il loro linguaggio vuol dire conoscere il tempo. Vuol dire conoscere quello che accadrà e non avere più una vita lineare ma percorrere la propria vita già sapendo quello che accadrà. I Tetrapodi non stanno regalando agli umani il loro linguaggio per bontà, ma perché fra tremila anni avranno bisogno degli umani. È “un gioco non a somma zero”, una collaborazione che aiuterà entrambi.
Quando esce ha la visione di lei che al “futuro” ricevimento delle nazione unite incontra/incontrerà il generale cinese Shang che la ringrazia/ringrazierà di averlo chiamato poco prima dell’attacco al suo numero di cellulare privato dicendole le uniche parole che potevano convincerlo a non attaccare, ovvero quelle che gli aveva detto sua moglie in punto di morte. La Louise (quella al ricevimento) si mostra perplessa e gli chiede “Io l’ho chiamata? Ma se non ho neanche il numero…” Lui gli mostra il suo numero privato e a quel punto lo sa anche la Louise del “passato” che si trova in Montana che ruba un satellitare e chiama il generale Shang scongiurando l’attacco e dando il via a una nuova era sulla Terra.
Louise e Ian si abbracciano qui lo spettatore capisce che le visioni di Louise con la figlia sono il futuro e sua figlia Hannah deve ancora nascere e il padre sarà Ian. Che però lascerà Louise quando saprà che lei era a conoscenza della prematura morte della figlia ma ha scelto di averla uguale per passare con lei quegli anni.
L’indizio di cui dicevamo sopra era il fatto che anche all’inizio del film si vedeva Hannah che con il pongo modellava un tetrapode.
Villenueve lancia quindi spunti filosofici a non finire, dal concetto di tempo e di conoscenza di questo al rapporto con la morte. In realtà il concetto di esseri che vivono “esternamente” al tempo conoscendo già l’inizio e la fine di ogni cosa non è nuovo (K. Vonnegutt –Mattatoio n. 5), di certo invece molto originale è la trovata di associare la conoscenza del tempo al linguaggio.
Un film da vedere, apprezzabile di certo anche dai non amanti della fantascienza classica.
J. Mnemonic