[voto 5.9/10]
Premesso che è sempre difficile fare un remake perché il risultato si dovrà confrontare comunque con un film che ha avuto successo (altrimenti perché farlo?) e che negli ultimi anni questi remake si dividono in “inguardabili” (ad esempio Total Recall), “appena passabili” (ad es. Fright Night) e “non ho capito che l’hanno rifatto a fare” (ad es. Funny Games) il lavoro del regista quasi esordiente Ericson Core non rientra in nessuno dei tre casi, pur non convincendo a sua volta.
Inaugura quindi una nuova categoria dei remake, quelli del “ma anche no”.
Ovviamente il confronto è arduo perché stiamo parlando di un capolavoro del 1991 firmato da sua maestà Kathryn Bigelow, con la coppia di attori stratosferica Patrck Swayze e Keanu Reeves. Tuttavia non è la regia a mancare e neanche tutto sommato l’interpretazione dei semisconosciuti Edgar Ramirez e Luke Bracey. Quello che manca nel film è proprio la credibilità della nuova sceneggiatura.
Nel primo “point break” la storia era semplice, comprensibile e lineare: un gruppo di surfisti guidati dal carismatico Bodhi per garantirsi la possibilità di vivere senza lavorare e seguire l’estate in giro per il mondo rapina banche e l’agente dell’Fbi Johnny Utah si infiltra nel mondo del surf californiano per arrestarli. C’è un triangolo amoroso tra Bodhi Lori e Johnny, c’è ritmo, c’è il confronto fra chi rappresenta l’ordine costituito e deve fare il suo lavoro, pur in fondo stimando l’avversario e c’è dall’altra la voglia di restare per sempre ribelli. E c’è il bellissimo finale con Johnny che dice a Bodhi, in buona sostanza: si ti ho beccato, ho fatto il mio lavoro manonne posso più di fare il poliziotto quindi ti lascio scegliere di morire surfando invece che consegnarti alle autorità.
Ora in questo remake è tutto confuso e si stenta a trovare un qualunque senso. I surfisti sono diventati poliatleti estremi che devono fare otto prove mistico-spirituali-ambientaliste alle quali (con collegamenti filosofici ardimentosi che lasciano a desiderare) associano rapine in stile Robin Hood in cui rubano ai ricchi per dare ai poveri.
Johnny Utah viene da un dramma personale in cui vede morire un amico durante una di queste gare di sport estremi e per questo mette la testa a posto entrando nell’Fbi. Quando fanno vedere i crimini estremi commessi dai criminali lui riconosce che stanno percorrendo un percorso di prove mistiche e si mette sulle loro tracce. In realtà li trova al primo colpo roba che neanche due sei al superanlotto di seguito.
La bella Lori è diventata una sorta di sacerdotessa che rinfranca lo spirito dei poliatleti dopo le prove estreme (potete immaginare come). Ambientalismo e venerazione della madre natura a tutto spiano e poi si tromba come ricci sopra una stola di visone. Mah!
Insomma alla fine il ritmo c’è e ovviamente gli attori sono uno spettacolo per gli occhi delle nuove teen ager; però in un inevitabile confronto con il capolavoro di Bigelow il prodotto non regge per niente.
È come, per fare un esempio, se ci dicessero: “adesso vi facciamo la carbonara” poi ci mettessero davanti: due uova crude, la pasta in bianco, una fettina di pancetta il macinino del pepe, un pezzo di pecorino intero e quindi esclamassero “et voilà”.
Gli ingredienti ci sono tutti ma manca l’arte.
J. Mnemonic