Avete presente la storia del poliziotto buono e del poliziotto cattivo? In questo film (come del resto fa capire il titolo) manca la figura di quello buono. E un poco di approfondimento. Stefano Sollima arriva alla regia sul grande schermo dopo il meritato successo ottenuto con la serie “Romanzo Criminale” andata in onda su Sky negli scorsi anni; per la sua opera prima si trova a dirigere un buon cast italiano in cui spicca su tutti Pierfrancesco Favino che forse ultimamente è un po’ troppo “prezzemolo” (nel senso che si trova praticamente dappertutto) ma la cui bravura è indiscutibile. Il suo “Cobra” infatti è il personaggio più credibile della storia. I colleghi in divisa sono “Mazinga” (Marco Giallini), “il Negro” (Filippo Nigro) e “Spina”(Domenico Diele). Il déjà vu,ripensando ai criminali “il Dandy”, “il Freddo”, “Bufalo”, “il Libanese” della serie televisiva che ha dato il successo al regista, è praticamente inevitabile.
La trama è molto semplice, i quattro colleghi fanno parte di una delle categorie più odiate dagli ultras di tutta Italia e dai manifestanti di qualsivoglia colore: i celerini o, per meglio dire, gli agenti antisommossa della polizia. La loro fratellanza e complicità non riesce a compensare delle vite private molto problematiche le cui difficoltà inevitabilmente si ripercuotono anche sul lavoro. Il problema è che il loro lavoro consisterebbe nell’evitare i disordini e invece, vuoi per inesperienza o per sete di vendetta i disordini finiscono con il crearli più di una volta. Il finale lascia spazio alla speranza che ogni tanto anche nel reparto di polizia più duro e più esposto ci si ricordi che non si può essere al di sopra della legge neanche quando si compiono lavori così sporchi.
Il film si lascia guardare, tuttavia ha due difetti a nostro giudizio non di poco conto. Il primo è una questione di puro buon senso: mescolare in una trattazione così delicata il problema ultras con i fantasmi del G8 di Genova del 2001 è quanto meno un triplo salto mortale senza rete. Non possiamo accettare l’idea che esistano celerini che non si rendano conto della differenza fra una rissa fra ultras allo stadio e una manifestazione politica. Accomunare la scuola Diaz di Genova con quello che è successo nel Piazzale Diaz di Roma dopo l’uccisione di Gabriele Sandri è un espediente narrativo che non convince. Il secondo difetto è quello di far sorgere una perplessità inevitabile senza approfondirla. Se è vero, com’è vero, che oramai la stragrande maggioranza delle tifoserie organizzate appartiene all’estrema destra e gli ultras “comunisti” sono una specie più rara del lupo rosso nel nostro paese, è plausibile tutto questo odio fra due categorie politicamente così affini? Insomma nel film si vedono chiaramente le simpatie dei celerini per il duce e il ventennio fascista (niente di nuovo) e gli ultras sono tutti nazi-fascisti… allora perché si odiano? Domanda che va molto al di là del film, visto che è a tutti gli effetti la situazione reale; ma il film ha il difetto di non approfondire il discorso e di presentarla così com’è senza indagare su questo odio fra camerati.
Il film “si può vedere” a patto di non aspettarsi il livello di Romanzo Criminale. Certo, un conto è avere a disposizione solo due ore per raccontare una storia e un conto un serial di venti puntate; tuttavia un po’ più di sforzo da parte del regista era lecito aspettarselo.