Ne avevamo parlato un mese fa: il vescovo di Padova aveva programmato diverse visite pastorali nelle scuole della sua diocesi, in orario scolastico. L’UAAR aveva diffidato le direzioni didattiche, ma inutilmente. E per questa ragione ha poi presentato un ricorso al TAR del Veneto.
Il TAR ha diffuso ieri la sua sentenza sul nostro ricorso. Non è nemmeno entrato nel merito del problema, perché l’ha dichiarato inammissibile «per carenza di legittimazione attiva dell’associazione ricorrente, la quale, avendo impugnato un atto che esaurisce la sua azione nell’ambito del plesso scolastico di Bastia, non ha dimostrato l’esistenza, nel predetto ambito territoriale, di qualche soggetto che, affiliato all’associazione, si affermi concretamente leso dalla censurata visita pastorale: in difetto di tale prova, invero, ove la comunità interessata alla visita fosse totalmente favorevole o quanto meno indifferente al suo svolgimento, l’impugnazione in esame verrebbe a configurarsi quale attività meramente pregiudizievole della libertà di autodeterminazione della comunità stessa».
Traduzione per i non giuristi: l’UAAR, benché sia un’associazione di promozione sociale riconosciuta dal ministero, non può far valere le prerogative legali che la legge sulle associazioni promozione sociale le riconosce. Ricordiamo a tutti il contenuto dell’articolo 27 della legge 383/00, che recita:
(Tutela degli interessi sociali e collettivi)
1. Le associazioni di promozione sociale sono legittimate:
a) a promuovere azioni giurisdizionali e ad intervenire nei giudizi promossi da terzi, a tutela dell’interesse dell’associazione;
b) ad intervenire in giudizi civili e penali per il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall’associazione;
c) a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi lesivi degli interessi collettivi relativi alle finalità di cui alla lettera b).
2. Le associazioni di promozione sociale sono legittimate altresì ad intervenire nei procedimenti amministrativi ai sensi dell’articolo 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Su queste basi, considerando gli scopi sociali UAAR, che sostengono esplicitamente la difesa e l’affermazione della laicità dello Stato, come si può definire il ricorso inammissibile? Quali affiliati UAAR potrebbero esservi, tra i giovanissimi studenti della scuola? Giriamo queste domande, in particolare, al ministro della solidarietà sociale Ferrero, visto che la decisione del tribunale mina platealmente l’architrave giuridica della legge sulle associazioni di promozione sociale.
Il TAR si è letteralmente sdraiato sulle argomentazioni dell’avvocato del vescovo, secondo cui le nostre richieste erano richieste «di parte»: no, cari giudici, e lo ribadiamo con forza. L’UAAR ha chiesto che venisse rispettata una legge dello Stato e un principio costituzionale. Il TAR ha invece deciso che le richieste di una parte della popolazione (per quanto grande sia quella cattolica) hanno la meglio su un principio universale, che riguarda tutti i cittadini. Anzi, sembra quasi rimproverarci di aver disturbato la libertà della Chiesa cattolica di andare contro le leggi dello Stato.
Ma non è finita qui: il tribunale ha infatti posto la rifusione delle spese a carico dell’UAAR, nella misura (enorme) di seimila euro: non ci risultano precedenti di un importo così rilevante per procedimenti di questo tipo.
A nostro parere era una sentenza già scritta: due dei tre membri del collegio erano stati già protagonisti della sentenza 1110/2005, che definì il crocifisso «simbolo della laicità dello Stato». Assegnare il caso a questo collegio significava dunque indirizzarlo in una direzione ben precisa. Una sentenza già scritta, ripetiamo, ma anche una sentenza politica: si è voluto lanciare un pesante avvertimento (già prontamente amplificato da “Avvenire”) a un’associazione in crescita in quanto a dimensioni, autorevolezza e determinazione nel cambiare un paese, il nostro, penosamente trascinato dalla sua élite politica (e giuridica, siamo costretti a constatare) su una china sempre più clericale.
Ma non abbiamo alcuna intenzione di arrenderci. Il nostro impegno continua. E siamo certi che sempre più italiani e italiane lo continueranno con noi.
Raffaele Carcano – Segretario UAAR