Si avvicina anche quest’anno la festività del 25 dicembre, oggi conosciuta come Natale commercial-cristiano. Dal punto di vista storico la ricorrenza era associata alla celebrazione di divinità antecedenti Cristo di secoli: è il caso degli dei babilonesi Tammuz e Shamas (3000 a.C.) e più in generale di divinità associate al sole che confluirono nella festività romana, egiziana e siriana del Sol Invictus. L’associazione con la rinascita del sole dal buio invernale (anche Sol Indiges) ha collocato queste celebrazioni intorno al 21 o 22 dicembre proprio per ricordare il solstizio invernale, cioè il giorno in cui, a causa dell’inclinazione dell’asse terrestre rispetto all’eclittica, la notte ha durata massima per poi ciclicamente diminuire fino al solstizio estivo del 20 o 21 giugno, giorno in cui sono le ore di luce ad avere il loro massimo.
L’attributo “commerciale” invece deriva dal fatto che, oltre a essere la festa del consumismo per eccellenza (un osservatore esterno potrebbe pensare che si celebri il Dio Denaro), la figura stessa di Babbo Natale come la intendiamo oggi (grasso e barbuto vecchietto vestito di rosso e bianco) è in realtà stata introdotta negli anni 30 da una fortunata campagna pubblicitaria della Coca-Cola.
Santa Claus (San Nicola) infatti era una figura derivante dal vescovo cristiano San Nicola di Myra che poi è stata rielaborata da diverse tradizioni dell’Europa centrale e del nord. In queste raffigurazioni, però, il personaggio acquisisce una caratterizzazione più “silvestre” e infatti i colori tipici sono quelli di un lungo mantello verde ornato di pelliccia.
Lo “Spirito del Natale” già citato da Dickens dovrebbe renderci tutti più buoni, ma regolarmente ogni anno si ripete un fenomeno molto particolare, per certi versi paradossale e grottesco. Come successo a Garlasco nel 2008 e in provincia di Lecco l’anno scorso (ma anche in Inghilterra qualche anno fa), durante le prediche del periodo natalizio qualche illuminato servo di Dio coglie l’occasione per ricordare ai bambini presenti in chiesa la non-esistenza di Babbo Natale, con conseguenti pianti a dirotto e madri alterate. I preti più “preparati” spiegano anche con l’ausilio di semplici calcoli che il tempo pro-capite per ogni singolo bambino è infinitesimale anche senza considerare quello impiegato dalle renne per trainare la slitta da un posto all’altro nel mondo. Non abbiamo notizia se sia mai stato citato anche il “Problema del Commesso Viaggiatore“.
Quello che lascia con un misto tra lo sbigottimento e l’indignazione è il fatto che l’infanzia è forse l’unico momento della vita in cui è salutare, poetico e legittimo credere in qualcosa di fantastico e irreale. Quello che lascia invece sbalorditi è che una tale cattiveria gratuita venga amministrata da una casta che basa sull’ignoranza e sulla credenza a fenomeni scientificamente assurdi non solo la propria fede ma anche la propria ricchezza. L’immacolata concezione, la resurrezione, tutti i vari episodi stregoneschi citati nella Bibbia, ogni singolo dogma non sono meno risibili della storia di Babbo Natale e rendono la religione cristiana una intricata architettura di favole condite da un cieco oltranzismo reazionario verso qualsiasi possibile avanzamento civile, culturale e sociale.
Perché quindi i bambini non possono essere liberi di credere in una storia folkloristica che abbandoneranno da soli crescendo, mentre gli stessi religiosi adulti che distruggono questi sogni trovano salvifico e giusto credere in cose non meno assurde?
Proprio i preti, che si comportano come rigorosi censori dei sogni dei bambini nel periodo natalizio, durante il resto dell’anno si prodigano a ‘forgiarne’ le menti attraverso battesimo, catechismo, didattica nelle scuole cattoliche e ora di religione in quelle pubbliche.
Daniele Raimondi – Cronache Laiche