Lo confesso, ho dei segreti da nascondere.
Uno di questi, forse il più tremendo di tutti, è che dieci anni fa mi è piaciuto da morire “L’ultimo bacio” di Gabriele Muccino, che ho rivisto tre o quattro volte.
Non ho giustificazioni particolari, tranne per il fatto che allora mi era sembrato uno dei pochi film d’amore con il ritmo di un thriller, con un intreccio di storie originale e ben riuscito, e soprattutto senza la pretesa, classica dei film d’amore a largo consumo, di proporre lezioni morali e fare lezioni retoriche sul bene e il male che nelle storie d’amore non possono esistere.
Voglio dire, quando uno si innamora, è sempre nel giusto. Che abbia diciotto anni, o che ne abbia cinquanta, che sia sposato o libero, che sia un’attrazione sessuale o un rapporto puramente platonico. Ma si sa fin dalla notte dei tempi, all’amore, in ogni sua forma, nessuno può sfuggire.
E “l’ultimo bacio” era bello per questo, perché raccontava delle storie senza dare dei giudizi. C’era chi tradiva e se ne pentiva, chi non aveva legami e ne andava fiero, chi ricercava disperatamente un legame perso, chi non riconosceva la donna che aveva sposato. E finiva non dando giudizi fra gli amici che avevano scelto di partire per un viaggio avventuroso, lasciandosi alle spalle famiglie e fidanzate, e chi aveva scelto di restare per costruire o ricostruire rapporti famigliari solidi.
Dopo dieci anni Gabriele Muccino, ci presenta il sequel dell’opera che lo ha lanciato in modo planetario, ma stavolta di giudizi ne da eccome. Questo fa si che tutto il film ne risenta pesantemente e perda quella naturalezza e quella spontaneità dell’ultimo bacio, e soprattutto diventa prevedibile.
In un cast di attori più o meno credibili nel ruolo che interpretano (ottimo Favino, sempre uguale a se stesso Accorsi, stereotipato Santamaria, brava la Impacciatore, confronto impari per la Puccini) la storia prosegue con un ritmo normale (mentre ne “L’ultimo bacio” era da thriller come ho già detto); i trentenni sono diventati quarantenni, qualcuno si è già separato, qualcuno è in crisi, qualcuno non ha trovato nel viaggio quella soluzione che sperava. E subito si individua quello che il regista vuol farci credere sia “il male”, ovvero la scelta di non avere radici e relazioni stabili.
Intendiamoci, è una mia interpretazione, forse Muccino voleva dire tutt’altro, nel caso dico semplicemente che, da me, non si è fatto capire. Ad ogni modo mi sembra molto difficile dare diverse interpretazioni alla frase d’effetto finale che dice “muore chi non ha radici”.
“Il male” quindi possiamo intenderlo come il comportamento dei giovani (o di chi non vuole accettare di crescere) di non avere relazioni stabili, di non volere figli per salvaguardare la propria libertà, di non voler mettere radici per l’appunto.
Sarà stato l’effetto degli USA a rovinare il Muccino libertario de “l’ultimo bacio”? O forse, è il clima reazionario e anti-illuminista che vige nel nostro paese (che rispetto a dieci anni fa è molto più forte) ad aver pesantemente condizionato il regista?
Non lo so, fatto sta’ che “Baciami Ancora” è un polpettone sentimentale prevedibile e retorico, assolutamente perdibile.
J. Mnemonic