Il Concilio Vaticano II, con la dichiarazione Dignitatis humanae(1965), ha definito la libertà, e in particolare la libertà di coscienza e di culto, un diritto che «va sempre rispettato, specie in campo morale e religioso», sottolineando che «l’uomo non deve essere costretto ad agire contro coscienza e non si deve neppure impedirgli, entro i limiti del bene comune, di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso» (Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio, 2005).
Ma ieri?
Secondo Benedetto XVI questa dichiarazione del Concilio Vaticano II è in armonia col «patrimonio più profondo della Chiesa», che «ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità». Si cerca così di ridurre l’opposizione plurisecolare della Chiesa alla libertà di coscienza a alcune «decisioni storiche» errate, ma prive di rilevanza anzi contrastanti con la dottrina. Le cose stanno però diversamente. La Chiesa, richiamandosi a quanto insegna la Bibbia, sostenne fin dal IV secolo, quando l’imperatore Teodosio dichiarò il cattolicesimo religione di Stato, il dovere di punire chiunque si allontani dalla vera religione. I pagani furono perseguitati. Gli eretici vennero messi a morte per tutti i secoli dell’Inquisizione. Nel 1311-12 il Concilio di Vienne vietò di elevare preghiere, in terre cristiane, al «perfido Maometto». Solo agli ebrei fu permesso di seguire la propria religione, ma nei loro ghetti. Nelle Americhe i conquistatori imposero il cattolicesimo con la forza.
Molte condanne in punta di dottrina
Anche quando i tribunali dell’inquisizione furono chiusi dai principi illuminati e da Napoleone la libertà di coscienza e di culto continuarono a essere condannate in punta di dottrina. Gregorio XVI, nell’enciclica Mirari vos (1832), definì «assurda ed erronea sentenza o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo». Pio IX ribadì tale posizione nell’enciclica Quanta cura (1864), condannando quanti «non temono di caldeggiare l’opinione… dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata delirio» e in appendice all’enciclica, nel Syllabo, espose in forma di proposizioni condannate le «prave opinioni» dell’epoca. Fra esse questa: «È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera». Della stessa opinione era il “progressista” Leone XIII, che nell’enciclica Libertas (1888) condanna «la cosiddetta libertà di culto», secondo cui « è facoltà di ognuno professare la religione che gli piace, oppure di non professarne alcuna» poiché «la giustizia e la ragione vietano che lo Stato sia ateo o che – cadendo di nuovo nell’ateismo – conceda la stessa desiderata cittadinanza a tutte le cosiddette religioni, e gli stessi diritti ad ognuna indistintamente». «La peste della età nostra», scrisse Pio XI nella Quas primas (1925), «è il così detto laicismo» che ha negato alla Chiesa il diritto «di ammaestrare le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità» e ha uguagliato la religione cristiana «con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste». Egli negò anche che col Concordato «si sia inteso assicurare assoluta libertà di coscienza» perché «in Stato cattolico, libertà di coscienza e di discussione, devono intendersi e praticarsi secondo la dottrina e la legge cattolica» (Lettera al segretario di stato, 30 maggio 1929).
E adesso?
Solo con il Concilio Vaticano II si ebbe finalmente la correzione di rotta che Benedetto XVI oggi vanta come il «patrimonio più profondo della Chiesa». Ma la Chiesa stessa non volle e non vuole accompagnare tale “svolta” col riconoscimento di aver insegnato il falso e di aver indotto in errore i fedeli per quindici secoli! Mancata ammissione inquietante perché, unita alla persistente vocazione teocratica e ai tentativi di imporre a tutti i cittadini, compresi i non credenti, delle leggi fondate sulla morale cattolica, fa dubitare sulla sincerità con cui si intende rispettare davvero ogni libera scelta.
Walter Peruzzi – Cronache Laiche