La reazione diffusa conseguente all’aggressione fisica a Silvio Berlusconi è stata, giustamente, di solidarietà alla persona e di difesa dell’istituzione della Presidenza del Consiglio. Voglio ricordare che è di circa un mese fa la sentenza sul crocifisso della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), organismo sovranazionale riconosciuto dall’Italia, che ne è uno dei membri fondatori, in cui veniva condannato lo Stato Italiano per il mancato rispetto di alcuni diritti fondamentali nei confronti della nostra famiglia, titolare del ricorso. In quell’occasione non c’è stato alcun rispetto né per le nostre persone né per l’istituzione (CEDU): autorevoli personalità politiche vi si sono scagliate contro, arrivando a forme di aggressione verbale inaudite; un ministro della Repubblica ha gridato davanti alle telecamere della RAI che: “…possono morire loro (cioè i proponenti, quindi la mia famiglia) e quegli organi internazionali che non contano nulla (la CEDU).” Senza che ci sia stata alcuna reazione verso queste disgustose affermazioni. In seguito a ciò e all’atteggiamento di altre figure istituzionali come quelle ad esempio di un sindaco (anche deputato leghista) che è arrivato a proporre qualcosa di simile a una taglia sulla mia testa (annunciando di voler esporre manifesti con la dizione “WANTED”), abbiamo ricevuto lettere minatorie e siamo stati oggetto di atti vandalici. Credo che il rispetto per le persone e per le istituzioni non debba rispondere a criteri di occasionalità e di opportunità, ma sia un valore da difendere sempre e comunque. Senza se e senza ma. Ci auguriamo perciò di riscontrare un atteggiamento di responsabilità più omogeneo e coerente da parte dei rappresentanti delle istituzioni e di portavoce politici in occasione della futura sentenza definitiva da parte della CEDU.
Massimo Albertin
Soile Lautsi