Il 12 febbraio è l’anniversario della nascita di Charles Darwin e, come ogni anno, la ricorrenza è l’occasione per riaffermare pubblicamente l’attualità degli studi e dell’insegnamento dell’evoluzione attraverso gli eventi Darwin Day. I Darwin Day italiani sono segnalati dal portale dell’evoluzione Pikaia, mentre il sito dell’International Darwin Day Foundation mostra gli eventi in tutto il mondo.
Per gli obiettivi che si pone la celebrazione, questo Darwin Day è forse il più significativo degli ultimi anni: dopo l’elezione di Trump negli Usa si sono intensificati i tentativi di indebolire l’insegnamento dell’evoluzione, mentre anche in Europa, a lungo considerata relativamente immune a questo tipo di antiscienza, il creazionismo continua ad avanzare.
Eppure, se molto spesso fraintendiamo alcuni aspetti dell’evoluzione non è necessariamente colpa della propaganda creazionista (che di questi tempi qualcuno forse chiamare post-verità). Buona parte degli errori che facciamo sono molto probabilmente dovuti a come ragiona e comunica la nostra specie. Per esempio l’idea (errata) dell’evoluzione come progresso, che a volte ci fa paragonare gli organismi a tecnologie, è molto diffusa anche perché siamo naturalmente portati ad attribuire un fine a quello che ci circonda. In occasione del Darwin Day proviamo allora a raccontare altri 5 errori comuni che facciamo sull’evoluzione.
1. L’evoluzione NON spiega l’origine della vita
Charles Darwin e Alfred Russel Wallace erano dei geni e la loro teoria, opportunamente aggiornata, è in grado di spiegare la diversità della vita sul nostro pianeta. Quello che non spiega, invece, è come sia nata la vita. Gli scienziati non hanno dubbi che i primissimi organismi terrestri siano stati immediatamente sottoposti ai meccanismi evolutivi, e che quello che vediamo intorno a noi sia il risultato di quella che Darwin chiamava “discendenza con modificazioni”. Ma senza la materia prima, l’evoluzione biologica non può avere luogo. Com’è nata allora la vita? La realtà è che ancora non lo sappiamo. In generale, gli scienziati parlano di abiogenesi: sulla Terra primordiale processi naturali hanno probabilmente portato ai composti chimici alla base della vita, e in centinaia di milioni di anni questi si sarebbero auto-organizzati in sistemi molecolari in grado di replicarsi e mantenere un metabolismo, cioè le prime forme di vita. Viene usato a questo proposito anche il termine evoluzione chimica, perché si può comunque immaginare un processo graduale, dove magari alcuni sistemi sono diventati predominanti, ma si tratta di qualcosa di ben distinto dall’evoluzione biologica di Darwin e Wallace: come detto l’origine della vita è un problema scientifico aperto.
2. NON ci siamo evoluti per caso
Diversi creazionisti credono che secondo i biologi il cambiamento degli esseri viventi sia dovuto al puro caso, e spesso a loro supporto citano un esempio del celebre astronomo Fred Hoyle: se un tornado passasse sopra un deposito di rottami, quali sono le probabilità che il risultato sia un Boeing 747 perfettamente funzionante? In realtà l’esempio (ampiamente demolito) di Hoyle riguardava l’abiogenesi, ma argomenti di questo tipo risalgono addirittura ai tempi di Darwin. Il caso ha una grande importanza nell’evoluzione, ma dire che l’evoluzione è un processo casuale è errato; allo stesso tempo è errato affermare che è un processo dove il caso non conta nulla. Sì, le mutazioni del dna sono in genere definite casuali, nel senso che l’emergere di una certa mutazione non dipende dai bisogni dell’individuo o della specie. Ma la selezione naturale (come quella sessuale) è l’opposto del caso: l’adattamento è reso possibile da questo onnipresente filtro che nel tempo modificano il patrimonio genetico delle popolazioni. Non è affatto un caso se alcune delle (rare) mutazioni che permettono agli individui di lasciare più discendenti si diffondono.
3. L’evoluzione È osservabile
Si dice che l’evoluzione sia lenta e graduale, e che per questo non è possibile osservarla direttamente. In realtà è vero che l’evoluzione è graduale e molti cambiamenti avvengono nella scala dei tempi geologici, ma esistono molti casi nei quali è possibile osservare l’evoluzione in diretta, o quasi. Usando organismi che si riproducono molto velocemente, come i batteri, gli scienziati possono osservare in laboratorio la selezione naturale e le altre forze dell’evoluzione, come nel caso del E. coli Long-Term Evolution Experiment (Ltee) cominciato dal microbiologo Richard Lensky (Michigan State University) nel 1988. Rapidi adattamenti sono osservabili anche fuori dai laboratori: la resistenza dei batteri agli antibiotici è forse l’esempio più immediato, ma tutti i patogeni, dagli insetti ai funghi, sviluppano rapidamente ceppi resistenti a tutte le nostre contromisure. Anche i vertebrati possono cambiare nel giro di pochi decenni, e in tutto il mondo stiamo già assistendo agli adattamenti dovuti al cambio climatico.
4. Gli esseri umani NON hanno smesso di evolversi
Nel 2013 il divulgatore britannico David Attenborough ha affermato che, almeno nei paesi più sviluppati, l’evoluzione umana si sarebbe fermata: medicina ed elevati livelli di benessere avrebbero eliminato la lotta per la sopravvivenza, e di conseguenza l’evoluzione. Non è chiaro come un divulgatore tanto preparato abbia potuto fare un tale scivolone, ma i biologi non hanno tardato a replicare. Sì, indiscutibilmente la specie umana sta continuando a evolversi, anche nelle società dove quasi tutti raggiungono tranquillamente fino all’età riproduttiva. Non è infatti necessario che molti individui non sopravvivano perché l’evoluzione avvenga: finché alcuni faranno più figli di altri, finché continueremo a scegliere (quindi in maniera non casuale) se e con chi riprodurci, e finché l’ambiente intorno a noi continuerà a mutare, il dna delle popolazioni continuerà a cambiare e l’evoluzione continuerà la sua strada.
5. L’adattamento perfetto NON esiste
Quando volte guardando un documentario abbiamo sentito il narratore affermare che un certo organismo era “perfettamente adattato”? Sicuramente i risultati della selezione naturale possono farci rimanere a bocca aperta, ma i biologi sanno che la perfezione non è un concetto applicabile agli esseri viventi. Come spiega Marco Ferrari nel libro l’Evoluzione è ovunque (Codice, 2015) anche i più stupefacenti adattamenti sono frutto di compromessi, non c’è spazio per assoluti: “Per diventare una macchina da predazione, l’evoluzione del ghepardo ha dovuto obbedire a numerosi compromessi che derivano da spinte evolutive differenti. Quelle che portano alla velocità evolverebbero strutture per farlo correre il più rapidamente possibile, ma “coabitano” con altre, come robustezza o capacità riproduttiva. Il risultato sono caratteristiche a metà strada tra le une e le altre. […] Non può esistere, quindi, un ghepardo velocissimo e fortissimo”. Le stesse considerazioni sono valide per qualunque specie, anche la nostra. Basta pensare alla nostra postura eretta con andatura bipede, celebrata come un traguardo nella celebre (e antiscientifica) icona La marcia del progresso: rispetto alle altre scimmie gli umani hanno pelvi più strette, una caratteristica che rende il parto più rischioso, anche a causa della grandezza del nostro cervello. Un bacino ancora più stretto, spiega Ferrari, potrebbe faciliterebbe la corsa, ma renderebbe impossibile la riproduzione, quindi quello che osserviamo è il risultato di un compromesso tra diverse spinte evolutive.
Stefano Della Casa – Pikaia
(foto di Alessandro Chiometti)