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La visione di sei film contemporaneamente è una sfida anche per il più grande dei cinefili, figuriamoci per noi poveri mortali.
I fratelli Wachosky (ora fratello e sorella dopo il cambiamento di Laurence in Lana) ci hanno abituato a complessi intrighi filosofici con la loro fantascienza, è dall’uscita del secondo capitolo della trilogia di Matrix che stiamo cercando di capire cosa ha detto L’Architetto a Neo. Questa volta però, complice Tom Tykwer che firma la regia insieme a loro, si sono davvero superati.
Collegare sei storie partendo dal 1839 e arrivare al 2321 facendole scorrere parallelamente l’un l’altra in modo da proiettare lo spettatore da una nave di due secoli fa ad una Neo Seul ipertecnologica passando per la California degli anni sessanta è un esperimento veramente unico.
Il risultato che si ha è l’impressione di aver visto non uno ma sei film insieme, a distanza di giorni si cerca ancora di metabolizzare tutti i passaggi che li collegavano.
Tom Hanks, Halle Berry, Hugo Weaving, Jim Sturgess e Hugh Grant sono presenti in tutte e sei le storie, altri (Susan Sarandon, Doona Bae, Keith David) saltano alcuni capitoli. L’impressione, voluta, è quella di un rincorrersi di destini di vite che non finiscono con la morte ma continuano nel futuro. La parola reincarnazione non è mai pronunciata nel film ma è ovviamente sottintesa, come del resto testimonia la voglia a forma di stella cometa che i protagonisti delle storie hanno.
L’intento, anche questo voluto, è di dimostrare come le scelte che facciamo non si limitano ad influenzare la nostra vita ma tutte le vite future a noi collegate.
Così il diario di viaggio in una nave di inizio 1800 influenza un musicista sessanta anni dopo, che a sua volta con la sua musica ispira la giornalista che sta indagando su uno strano connubio fra multinazionali dell’energia e così via fino ad arrivare a un film che nel 2144 racconta eventi del 2012 ed è visto di nascosto da due cloni abilitati solo a servire in silenzio nei fast food. Uno di questi cloni sarà considerato una divinità dagli abitanti delle Hawaii del 2321 che sono regrediti a una società precivilizzata.
Il risultato di tale amalgama è indubbiamente piacevole e a tratti esaltante.
Quello che però, proprio non riusciamo a capire è il messaggio che viene messo in bocca alla futura divinità Sonmi-451: “La nostra vita non ci appartiene. Da grembo a tomba, siamo legati agli altri. Passati e presenti. E da ogni crimine e da ogni gentilezza, generiamo il nostro futuro”.
Semmai è proprio perché la vita ci appartiene che con le nostre azioni (criminose o gentili) determiniamo il futuro nostro e di altri. Davvero non riusciamo a capire come possa far coincidere l’invito a sovvertire l’ordine prestabilito e tirannico delle cose (difeso sempre in tutte le storie dai cattivissimi Hugo Weaving e Hugh Grant) con il messaggio che la vita non ci appartiene.
Peccato, se non fosse per questa fastidiosa frase ripetuta più volte nel corso del film come verità assoluta (e peraltro smentita dalle azioni dei protagonisti) il film sarebbe perfetto.
J. Mnemonic