Ci hanno provato in tanti a spiegare la passione che lega una parte della popolazione mondiale al fenomeno del calcio. Se non ci sono riusciti Hornby, Montalban, Benni e tanti altri a fare capire le ragioni di noi calciofili a chi continua a restare indifferente alla questione e la liquida con un superficiale “panem e circenses” ritirandosi a Capalbio (famoso fortino di intellettuali anticalcistici durante il delirio di Italia’90), non ci riuscirò certo io con questo breve pezzo da blog.
Infatti non è mia intenzione, si fa per parlare fra amici e stimolare magari la discussione.
Per come la vedo io, per quanto detesto parlare di categorie ma in certi casi è necessario, quando si parla di persone a cui non piace il calcio si deve distinguere fra due categorie. Quelli che detestano lo sport in generale e quelli che apprezzano lo sport ma non seguono il calcio.
Di quest’ultimi poi si possono distinguere quelli a cui effettivamente non piace perché non lo capiscono, e quelli che lo detestano perché oscura tutti gli sport minori nei paesi in cui è predominante. Questa è a mio avviso effettivamente la critica più sensata che si può muovere al fenomeno calcio, perché non si capisce per quale motivo una promozione in serie B del Frosinone (non me ne vogliano gli amici ciociari, faccio esempi casuali) debba contare di più a livello di comunicazione e impatto mass mediatico di una vittoria storica della nazionale italiana di rugby sulla Francia o del successo della Schiavone al Roland Garros. Sarebbe bello che i media imparassero a rispettare gli sport minori dando il giusto peso a vittorie che di certo non sono costate meno sacrificio e meno impegno di quelle calcistiche.
Per quanto riguarda invece quelli che odiano lo sport in generale e tutt’al più lo considerano un dovere medico per non ingrassare ma comunque un peso di cui farebbero volentieri a meno, costoro, a mio insindacabile giudizio, sono persone che capiscono un poco meno anche la vita in generale, ovvero quel fenomeno biologico di cui lo sport è una costante e importante metafora. Dico questo perché, per parafrasare Al Pacino in un ruolo memorabile (Ogni maledetta domenica) in cui interpreta un allenatore di Football Americano, lo sport (come la vita) è una questione di centimetri e solo chi ha sudato per conquistare qualche centimetro in più nelle sue prestazioni, di qualunque tipo esso siano, sa quanto può valere un centimetro. Un centimetro fa la differenza fra un gol e un non gol, fra un net e un ace, fra una meta e una mischia. E nella vita i centimetri accumulati nel nostro cammino fanno la differenza fra una soddisfazione e una delusione.
Ogni sport praticato nella vita ti dona qualcosa, se scegli il nuoto ad esempio avrai per sempre due spalle enormi che ti costringeranno a comprare camicie di una taglia più grande del dovuto, se scegli la pallacanestro questa ti donerà per sempre una rapidità di azione e un coordinamento del corpo sopra la media, se scegli il rugby lo spirito di fratellanza e di squadra segnerà il resto della tua vita, il tennis ti darà la capacità di concentrazione, la pallavolo la reattività dei muscoli, l’atletica lo spirito di sacrificio e la tenacia nel raggiungere i risultati.
Cosa da il calcio a chi lo pratica? Bella domanda, verrebbe da dire un po’ di tutto perché è senz’altro uno degli sport più completi ma se proprio devo scegliere una cosa che più di ogni altro sport può regalare alla tua vita è la capacità di stare al posto giusto al momento giusto. E questo vale per gli attaccanti che devono buttare la palla nella rete avversaria e vale per il difensore che non deve perdere la zona o l’uomo.
I mondiali di calcio sono un evento che scandisce i tempi delle nostre vite, che ci piaccia o no. Anche chi li odia probabilmente si imbatterà in amici che sono a casa a vedere la partita, in eventi rimandati perché la nazionale ha passato il turno, in commenti frenetici sul luogo del lavoro su chi avrebbe dovuto prendere il posto di chi nel centrocampo degli azzurri.
Può sembrare un discorso da fanatici ma ci sono momenti che non si dimenticheranno mai nel corso della vita. Tanto per fare un esempio banale, come diceva il giornalista Federico Buffa su un bellissimo programma in onda su Sky che nella storia umana si possono individuare tre “urli” quello di Munch, quello di Ginzberg e quello di Tardelli nella finale contro la Germania al Bernabeu nel Luglio 1982.
Esagerazione? Non tanto.
L’urlo di Tardelli con mio nonno che butta via il bastone e si alza in piedi, con mio padre e mia madre che una volta tanto si abbracciano invece di litigare, con Pertini che urla al Re di Spagna “non ci prendono più”, con il mio amico del piano di sotto che apre la porta e comincia a gridare nelle scale del palazzo… può sembrare retorica spicciola, ma quei mondiali nel 1982 li abbiamo vinti tutti, non solo gli undici in campo. Tutti noi che dopo trent’anni ancora ci portiamo dietro quei ricordi che hanno segnato la nostra vita. E lo stesso vale per quelli del 2006.
Questo non vuol dire che non esistano cose più importanti che meritano maggiore attenzione. Non smetterò di seguire la crisi in Ucraina in questi giorni, non smetterò di fare attenzione ai tagli di Renzi al welfare, non smetterò di informarmi sulla privazione dei diritti umani e civili nel nostro paese per alcuni cittadini. Sono conscio anche delle polemiche che, come in ogni sede del mondiale nella storia, ci sono per via dei soldi dirottati dal Brasile per la costruzione e la ristrutturazione delle sedi che ospitano il mondiale di calcio (e che ospiteranno anche le Olimpiadi del 2016). Cosa ne penso? Francamente da quel che posso ricordare, a parte forse Germania 2006 e Usa 94 polemiche del genere ci sono sempre state.
Ricordo che a Italia 90, a parte tutti gli scandali di appalti e subappalti che da li in breve diventeranno tangentopoli, si diceva che tre mesi prima del mondiale a Napoli non c’era più l’acqua potabile e che per evitare sommosse e disordini i poteri forti “dirottarono” lo scudetto della stagione 1989-90 a Napoli per imbonire i partenopei (lo scandaloso arbitraggio subito dal Milan di Sacchi a Verona nell’ultima giornata sarebbe una prova sufficiente secondo alcuni). Ricordo le polemiche legate all’assegnazione al Messico dei mondiali del 1986 che era reduce da un tremendo terremoto, tuttavia si disse anche che senza quei fondi per il mondiale difficilmente il paese ne sarebbe uscito. Anche per l’edizione del Sudafrica nel 2010 ci sono state proteste analoghe anche se di minore entità.
Sarebbe forse meglio assegnare le sedi mondiali solo a paesi ricchi come la Germania e l’Inghilterra o gli Stati Uniti? E coloro che dicono che è una possibilità di sviluppo per i paesi poveri forse non hanno ragione anche loro? Insomma gli scandali ci sono stati e ci saranno sempre, alzi la mano chi ha la verginità intatta sotto questo aspetto. Per il Brasile ospitare di seguito un mondiale e poi un olimpiade è un indubbio riconoscimento verso il grande lavoro svolto in questi anni nel tentativo di limare quelle diseguaglianze sociali che hanno sempre contrassegnato il gigante sudamericano. Certamente ci sono problemi nel gestire lavori mastodontici in una società con ancora gravi situazioni di povertà, tuttavia penso che se si usasse un po’ di buon senso le opportunità per la nazione sarebbero maggiori dei rischi. Tanto per intenderci il problema dell’Amazzonia e delle comunità Indios di questa non nasce certo oggi, il problema della delinquenza e della prostituzione a San Paolo o a Rio de Janeiro neanche. Condivido il fatto che i cittadini brasiliani chiedano più soldi per la sanità pubblica, per l’istruzione e per il welfare in generale, ci mancherebbe. Penso però, forse ingenuamente, che non sia il mondiale a portarglieli via ma che anzi questa possa essere comunque un opportunità di crescita del paese.
Insomma cercando di concludere questa lunga dissertazione, alla domanda sul perché passerò tutte le sere (e le notti) dal 12 Giugno al 13 Luglio chiuso in casa a guardare “22 scemi in mutande che corrono dietro una palla” (a proposito di becero qualunquismo); non posso che rispondere semplicemente perché tra i tanti altri miei interessi c’è anche quello del calcio (e dello sport in generale). Forse non sarò radical chic, me ne farò una ragione.
Alessandro Chiometti