30 giugno. Questa è la data fissata dalla Corte europea per esaminare il ricorso dell’Italia contro la sentenza sui crocifissi nelle aule scolastiche. Lo ha annunciato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta in una conferenza stampa a palazzo Chigi. Come ‘memoria’ a corredo del ricorso, il Governo presenterà il prossimo 30 aprile uno studio di Carlo Cardia, professore di Diritto ecclesiastico presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre.
“La corte di Strasgurgo – afferma Cardia, intervistato dal Corriere della sera – ha scelto un approccio vetero illuminista secondo il quale la formazione si deve svolgere in un vuoto culturale dove non esiste un passato né un futuro da costruire. Da questo punto di vista la Corte ha parlato di una scuola italiana che non esiste. […] Se una ragazza, in Italia, vuole andare a scuola con il velo islamico lo può fare. C’è un atteggiamento tollerante nei confronti di tutti i simboli religiosi. Ma questo la Corte non l’ha preso in considerazione. E così è stato svilito il ruolo del crocifisso come simbolo dell’identità europea, trasformandolo in un simbolo di parte“.
Dice bene, Cardia: una ragazza può andare a scuola con il velo così come, aggiungiamo, un ragazzo può portare il crocifisso al collo. Al di là di cosa si pensi del velo, si sta parlando di abbigliamento o uso di ornamenti, tutte cose che fanno parte della sfera individuale. Cosa direbbe il professor Cardia se la ragazza islamica volesse imporre il velo a tutte quelle della sua classe? Perché questo è il paragone corretto, non quello della presunta tolleranza, che diventa intolleranza quando si tenta di rendere collettivo un simbolo personale, qualsiasi esso sia.
Questa guerra in nome del crocifisso si gioca proprio sull’ambiguità, e l’ambiguità sull’ignoranza. Ciò che si vuole far passare è che togliere il crocifisso significhi rinnegare le proprie origini, affermare un ‘vuoto culturale’, come dice Cardia.
Nulla di più falso. Togliendo le croci dalle aule, non sconfesseremmo il nostro passato, perché è stampato indelebilmente nella nostra cultura, nella nostra formazione, sui libri che studiamo, nelle nostre menti, nei nostri occhi. Non serve una suppellettile affissa al muro per ricordarcelo.
E il futuro di cui parla Cardia non è scolpito staticamente in un pezzo di legno. Il futuro è la diversità, il rispetto, la convivenza, la netta coscienza dei propri confini, che mai devono invadere quelli degli altri. All’alba del terzo millennio, dovremmo aver imparato che la spiritualità, quella vera, è una caratteristica individuale, non universale. Non si nutre dell’imposizione di simboli al mondo intero, non ne ha bisogno.
Dovremmo sapere, invece, che in nome di un dio, di una religione politica o di appartenenza alla razza, il pensiero unico è sempre e solo sinonimo di discriminazione, disordine sociale e, infine, guerra.
Leggi l’intervento di Carlo Cardia a palazzo Chigi
Cecilia Calamani – Cronache laiche