Sacerdote condannato per abusi su minori dalla Congregazione per la dottrina della fede, presenzia a un convegno pubblico organizzato per difendere i valori della famiglia tradizionale cattolica. Questa non è una notizia. O per lo meno, che non lo sia è ciò che sostengono i legali di Don Mauro Inzoli nella lettera di diffida e richiesta di rettifica pena la querela per diffamazione, spedita nei giorni scorsi a Matteo Pucciarelli.
Il giornalista di Repubblica ha avuto l’ardire di pubblicare un articolodal titolo “Il prete pedofilo in seconda fila? Nessuno l’aveva visto” eun’intervista al deputato Sel Franco Bordo, in cui si ricostruisce la complessa vicenda dell’ex vice presidente della Compagnia delle opere (il braccio operativo di Comunione e liberazione), nonché ex presidente del Banco alimentare e fondatore ed ex presidente della onlus Fraternità dedita all’affido di minori provenienti da famiglie in difficoltà.
Una vicenda poco nota al grande pubblico nonostante la caratura del personaggio, e a quanto pare tale doveva rimanere leggendo la diffida, poiché scarsamente indagata dalle testate nazionali sin da quando nel 2012 venne resa nota dalla Diocesi di Crema la prima sentenza della Congregazione in cui si infliggeva all’illustre sacerdote, colpevole di aver compiuto abusi “sessuali” su minori, il massimo della pena canonica che prevede tra le altre cose la dismissione dallo stato clericale. L’iter processuale della Santa Sede si è concluso il 12 giugno 2014 con il decreto definitivo emesso dalla Cdf e firmato dal prefetto card. Müller.
Tutto era iniziato alcuni anni prima in seguito alle segnalazioni di molestie e abusi giunte al Vescovo di Crema da parte dei genitori di alcuni ragazzini che frequentavano la parrocchia Santissima Trinità guidata da Don Mauro. Come riporta CremonaOggi, «i genitori, anziché procedere alla denuncia penale – come sarebbe stato possibile, legittimo e nei loro diritti – hanno preferito rivolgersi direttamente al vescovo, chiedendo la rimozione del sacerdote dalla parrocchia. Cosa che il vescovo ha fatto, domandando a Don Mauro di lasciare spontaneamente la Santissima Trinità».
La pena medicinale perpetua per l’ex parroco 65enne di Crema è diventata vincolante a partire dal giorno di notifica del Decreto all’interessato: il 25 giugno 2014. Tra le due sentenze della Cdf (2012 e 2014), come si legge sul sito della Diocesi di Crema, Don Mauro aveva fatto ricorso alla Congregazione la quale, recependo quanto papa Francesco ha stabilito accogliendo il ricorso contro la dismissione dallo stato clericale, ha emanato il decreto definitivo. Inzoli mantiene dunque lo stato clericale ma gli resta inflitta la dura pena per abusi su minori. Nonostante ciò secondo i suoi avvocati, definendolo “pedofilo”, Pucciarelli avrebbe scritto il falso.
Perché? Perché il sacerdote in Italia non è stato né giudicato tanto meno condannato. Quindi – questo è il ragionamento – il giornalista si sarebbe indebitamente eretto a giudice infamando il loro assistito. E poco importa se Oltretevere c’è una condanna definitiva della Congregazione per la dottrina della fede da cui peraltro prendono le mosse due esposti presentati alla Procura di Cremona da Bordo e dall’associazione di vittime Rete L’Abuso. Raccontare questa storia non rientra nel diritto di cronaca, «gli articoli nel loro evolversi, sullo spunto di fatti falsi, riportano circostanze altamente lesive e diffamatorie…». Siamo al delitto di cronaca?
Il decreto definitivo della Cdf è pubblico e vale la pena di leggerlo per intero per farsi un’idea ancora più precisa su quale sia lo «spunto» da cui è partita la cronaca di Pucciarelli su Repubblica: «In considerazione della gravità dei comportamenti e del conseguente scandalo, provocato da abusi su minori, Don Inzoli è invitato a una vita di preghiera e di umile riservatezza, come segni di conversione e di penitenza. Gli è inoltre prescritto di sottostare ad alcune restrizioni, la cui inosservanza comporterà la dimissione dallo stato clericale. Don Mauro non potrà celebrare e concelebrare in pubblico l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, né predicare, ma solo celebrare l’Eucaristia privatamente. Non potrà svolgere accompagnamento spirituale nei confronti dei minori o altre attività pastorali, ricreative o culturali che li coinvolgano. Non potrà assumere ruoli di responsabilità e operare in enti a scopo educativo. Non potrà dimorare nella Diocesi di Crema, entrarvi e svolgere in essa qualsiasi atto ministeriale. Dovrà inoltre intraprendere, per almeno cinque anni, un’adeguata psicoterapia».
La presenza di Don Inzoli serenamente seduto in poltrona il 17 gennaio scorso al Convegno di Milano organizzato dalla Regione Lombardia per tutelare i valori «della famiglia tradizionale», risulta poco in armonia con le motivazioni e le imposizioni del decreto, tra cui l'”umile riservatezza”, eppure in un primo momento non aveva fatto notizia né scalpore. Per lo meno non tra i vip sistemati nei paraggi, in primis il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, e il suo predecessore Roberto Formigoni (memor domini di Cl dal 1970). Anche l’attenzione dei media si era concentrata sulle polemiche per il logo dell’Expo apparso sul manifesto del convegno, e sulla manganellata verbale assestata dall’on. Ignazio La Russa a un ragazzo omosessuale che aveva tentato di intervenire benché non invitato. Il caso è deflagrato il giorno successivo quando tra le immagini del convengo pubblicate dal Corriere della sera un deputato cremasco di Sel, Franco Bordo, ha riconosciuto il volto di Don Inzoli e ha pubblicato un tweet: “Davvero un bel quadretto a difesa #famiglia, Don Inzoli condannato dal Vaticano per abusi su minori”.
Bordo questa storia la conosce bene perché porta la sua firma, come detto, uno dei due esposti presentati alla Procura di Cremona a fine giugno 2014 affinché si valutino eventuali responsabilità penali dell’ex parroco cremasco sulla base della condanna emessa in via definitiva dalla Cdf. Secondo quanto scrive il 22 ottobre 2014 Il Fatto quotidiano, i magistrati italiani stanno indagando su 40 episodi di abusi e avrebbero inoltrato una rogatoria alla Santa sede per acquisire elementi utili dal processo canonico svolto alla Cdf. La presenza di una rogatoria è stata confermata anche dal deputato di Sel nell’intervista di Pucciarelli che ha provocato la reazione dei legali di Don Inzoli. Sulla falsa riga di quanto detto riguardo all’articolo, essi sostengono che rilevarne la presenza al convegno sia stato solo un pretesto per ritirar fuori una storia vecchia e coprire di «infamanti offese» il loro assistito, perché, precisano, non c’è alcuna sentenza definitiva della «Giurisdizione Italiana» per pedofilia. Ecco appunto, vedremo se e come evolverà anche in Italia la vicenda giudiziaria di Don Mauro Inzoli da Torlino Vimercati. Continueremo a informare i lettori, esercitando come Pucciarelli il sacrosanto diritto di cronaca.
A Matteo la solidarietà mia, di MicroMega e di Cronache Laiche.
Federico Tulli – Cronache Laiche