È difficile, se non impossibile, descrivere con le parole in modo appropriato il quotidiano senso di disorientamento della nostra vita.
Per usare un immagine cinematografica esplicativa ci sentiamo come Gandalf che dopo aver cercato a lungo la via attraverso le miniere di Moria si ferma, si guarda intorno e ammette con se stesso e il resto della Compagnia: “Non ho memoria di questi posti”.
Per “posti” intendiamo la nostra vita quotidiana, la nostra interazione con il prossimo, le notizie che leggiamo, il confronto con gli altri e la continua ricerca di un senso in quello che stiamo facendo; allora riformuliamo correttamente la frase: non abbiamo memoria di questa società.
Per carità, che questo non sia mai stato il paese di Bengodi lo sappiamo; e non è mai stato neanche più di una democrazia formale e non sostanziale. Ma dell’abisso dello squallore culturale e del degrado etico e sociale che sembra non aver mai fine non ne abbiamo mai avuto notizia neanche attraverso i nostri nonni. Persone che pure avevano passato due guerre mondiali.
Qualcuno chiede, a chi come noi ha un’associazione o uno spazio web o radio, di parlare ed approfondire la questione Palestina; soprattutto dopo che (grazie agli artisti di Sanremo) la censura dei mass media è sotto gli occhi di tutti.
Lo faremo, non abbiamo mai avuto problemi a confrontarci, ci mancherebbe. Però permetteteci di dire che c’è un enorme questione preliminare da affrontare. La fine della possibilità di essere dissidenti o non allineati.
La pandemia e l’abitudine a vivere sotto l’emergenza di “decreti speciali”, “coprifuoco”, “regioni rosse-gialle-verdi” arrivata dopo decenni di guerre anzi, scusate, di “operazioni di polizia internazionale per riportare la pace” hanno realizzato, per lo meno in questo paese, ciò che non erano riuscite a fare le leggi speciali degli anni ’70 contro il terrorismo e neanche l’attacco di Bin Laden all’occidente. L’obbligatorietà di dividersi in due blocchi di pensiero, apparentemente opposti ma in realtà autoalimentanti.
Se negli anni zero e dieci di questo nuovo secolo trionfante, si era infine riusciti a superare ed anche un po’ a ridere del motto bushista “O sei con me o sei contro di me!” oggi ci siamo immersi fino al collo come neanche il 12 settembre 2001.
O sei con il governo o sei un novax/complottista/putiniano/terrorista islamico/negazionista. A seconda della situazione, ovviamente. Assecondare la dicotomia ormai è necessario semplicemente per avere spazio.
Prendiamo la guerra in Ucraina ad esempio, per parlare in pubblico dell’argomento su un mass media nazionale ci sono due possibilità: o ti dichiari pro-Putin o ti dichiari pro-occidente. In entrambi i casi, magari in condizioni fortemente minoritarie, lo spazio nel talk show politico di turno lo trovi.
Se provi invece a ricordare che la posizione pacifista e non interventista prevede un ragionamento totalmente diverso dal semplice dare ragione a Zelenski o a Putin; se provi a chiedere che fine abbia fatto l’ONU con il suo palazzo di vetro e i suoi caschi blu; se provi a dire la parola “disarmo” che da dieci anni si sente solo dalle due alle cinque del mattino in radio e in tv… beh, stai sicuro che nessuno ti chiamerà mai più a parlare in pubblico o a scrivere sui suoi giornali del mainstream.
Vogliamo parlare di Palestina? Ma voi credete che quando l’unica discussione che passa in prima serata è quella in cui in cui ci si preoccupa di stabilire semanticamente se sia in corretto o meno parlare di genocidio, qualcuno dia spazio ad un confronto basato sui fatti?
Possiamo credere che il nostro confronto serva a qualcosa a chi si dimette dai suoi ruoli “per l’uso improprio della parola genocidio”?[1] Può servire a una persona così egocentrica e dogmatica ricordargli cosa è successo in Palestina dopo l’anno duemila con la camminata sulle moschee di Sharon; di 5 milioni di esseri umani ammassati per ventiquattro anni in uno spazio poco più grande della città di Reggio Emilia con situazione igieniche che per i nostri standard occidentali non andrebbero bene neanche per un allevamento di polli con una delle aspettative di vita più basse di tutto i pianeta; che tutto questo porta al fatto che oggi non sia più applicabile neanche la richiesta del “due popoli due stati” (per inciso chi la proponeva negli anni ’90 era un terrorista amico di Arafat secondo qualcuno); che ai 31mila morti in quattro mesi e alle loro famiglie non glie ne po’ frega’ di meno se la parola giusta secondo lui sia massacro, mattanza, strage, o magari “un piccolo litigio”?
Condividiamo il parere di chi sostiene che è ora di smetterla di paragonare la Shoah ebraica alla scientifica programmazione dello sterminio dei Palestinesi da parte di Israele. Ma non perché altrimenti gli israeliani si offendano, cosa di cui facilmente potete intuire quanto ce ne importi di fronte al massacro palestinese in corso. Ma per il fatto che sono due cose completamente diverse storicamente, geograficamente, geopoliticamente. È sbagliato anche dire “Ma come proprio voi che avete subito la Shoah…”; non sono queste persone che hanno subito la Shoah, sono altre! Semmai sono gli eredi. Paragonare le cose ha senso solo nella vaghezza indeterminata dell’affermare che ogni tentativo di sterminio di un popolo può essere considerato un atto nazista[2].
Tuttavia è anche vero che la storia si presenta sotto forma corsi e ricorsi ed è inutile che autocensuriamo alcune assonanze che ci vengono in mente. E allora se prendiamo nella sua drammaticità la strage compiuta da Hamas dei ragazzi israeliani che stavano partecipando ad un rave a poca distanza dal muro che circonda la striscia di Gaza, proprio non possiamo evitare di pensare a “La zona di interesse”, film che in questi giorni mostra al cinema la banalità del male di chi viveva a fianco del muro di Auschwitz e voleva conservare i suoi privilegi.
Bisogna riconoscere però che i ragazzi israeliani avevano un’attenuante importante: la quotidiana disinformazione del governo israeliano nella pretesa che i suoi cittadini credessero ad una situazione del tutto normale e sotto controllo. Che chi cresceva a Gaza City (più figo chiamarla così invece di “Striscia di Gaza”, nevvero?) lo faceva perché voleva crescerci altrimenti avrebbe potuto andar via quando voleva; che non c’erano cecchini che sparavano indiscriminatamente a chiunque perché il cugino del cugino aveva sentito qualcuno che gli aveva detto che il tizio in questione fosse di Hamas; che non ci fossero operazioni militari su obiettivi civili come ospedali e centro profughi; che le denunce quotidianamente fatte dalle Ong internazionali fossero operazioni antisemite.
Le crescenti proteste odierne di ciò che rimane della sinistra israeliana, puntualmente censurate in quasi tutti i quotidiani italiani, sono un indice di risveglio; ma non pensiamo davvero possa in questo momento andare buon fine, visto il dichiarato tentativo di Israele di estendere la zona di conflitto.
Il nostro pacifismo che abbiamo portato in piazza per anni, e che ci porteremmo tutt’ora se la maggior parte delle forze che lo sostenevano non si fossero rincoglionite nel rispettare l’obbligatorietà della follia dicotomica, viene da una storia che è ben lontana dal motto cristiano del “porgi l’altra guancia”. E, con il dovuto rispetto, altrettanto lontana dalla non violenza di Gandhi; anche se con queste visioni c’è ovviamente il punto di comune di far cessare ogni guerra.
Ma l’alternativa sensata e ragionevole al martirio di fronte all’aggressore si chiama da sempre “ferma la mano che sta dando il pugno”, o “terza via” se preferite. Non pensiamo ci sia nulla da inventare né da spiegare, forse solo da puntualizzare per gli smemorati: caschi blu dell’Onu, arbitrati e commissioni d’inchiesta internazionali e soprattutto disarmo bilaterale (e globale magari).
Tutto ciò ha funzionato benino in diverse occasioni dopo la fine della seconda guerra mondiale; non sempre certo, siamo pur sempre umani. Fino a quando, guerra dei Balcani, hanno cominciato a raccontare la fandonia che per la pace sarebbe stato molto meglio che la Nato bombardasse i cattivi e le loro città civili tanto per fargli capire che non si scherza. Shock and awe, come dicono gli yankee.
Chi sia il cattivo lo decide di volta in volta la Nato ovviamente.
Da quel momento in poi tutto è conseguente. Le guerre mostrate con gli infrarossi, esplosioni lontane ed indolore quando si bombarda Bagdad, e di contro il sangue mostrato in HD quando la Russia attacca Kiev. Putin ha fatto né più né meno quello che la Nato ha fatto altrove, e per dirla tutta aveva precedentemente fatto lo stesso in Georgia e in Cecenia ma lì era amico dei nostri governanti e quindi “stava tenendo a bada i cattivi comunisti”. Li teneva a bada anche regalando comodi lettoni da playboy a presidenti del consiglio occidentali, ca va sans dire.
Ma il bello è che a tutta questa propaganda l’opinione pubblica italiana continua a credere ciecamente come se Julian Assange e Wikileaks non fossero mai esistiti!
Basterebbe forse riprendere in mano la bibbia laica del pacifismo di Berkley, quel Mattatoio n. 5 che, seppur contenga qualche svarione (nessuno è santo e nessuno è perfetto fra i laici, neanche Kurt Vonnegut[3]), dovrebbe essere una lettura scolastica obbligatoria.
O forse riascoltare Il disertore di Boris Vian, che pure nel 1992 Ivano Fossati riprendeva per il ritorno in occidente della voglia di guerra con il caso Saddam Hussein; potrebbe essere utile per non cadere in trappole retoriche che vanno, di nuovo molto di moda.
Ma anche ricordare e rileggere le nostre dichiarazioni di obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio per capire cosa ci sia di sbagliato nella cultura guerrafondaia, oggi come allora. Proprio nel momento in cui qualche politicante di professione, dopo aver sparato tutte le balle possibili sui migranti e sulle accise dei carburanti (per tacere dei ponti tra Messina e Reggio Calabria che portano in Europa), dopo aver baciato crocifissi a destra e a manca per poi andare al Papeete a venerare ben altro, vuole ripristinare la leva obbligatoria!
Potrebbe essere utile in questi tempi ricordare cosa succedeva a noi Odc, che a differenza degli obiettori sull’aborto scontavamo di persona le nostre scelte, quasi sempre convocati dopo aver presentato la dichiarazione di Odc dai Carabinieri per il tentativo di farci rinsavire con un interrogatorio morale; ci rimbrottavano con supreme argomentazioni del tipo: “Ma chi la difenderà questa nostra povera italietta se faranno tutti gli obiettori?” E alla risposta “Scusi, ma allora voi che ci state a fare?” minacciavano di arrestarci per oltraggio.
Se le rileggessimo oggi quelle dichiarazioni forse sarebbe meno facile far passare per normale il fatto che il nostro Stato ceda armi all’Ucraina impegnata in un conflitto. Forse sarebbe più chiaro che questa è una dichiarazione di guerra de facto verso la Russia e che non ci sarebbe da meravigliarsi che, se dovesse vincere a Kiev, Putin ce ne chiederà poi conto.
No, il nostro sfogo iniziale non è un preannuncio di disimpegno, se così l’avevate inteso ci dispiace deludervi, ma non siamo proprio i tipi.
Però non abbiamo neanche la vocazione agli inutili martirii che lasciamo volentieri a chi aspira alla santità. Per noi la vita è unica e quindi preziosa; troppo preziosa per spenderla in concetti ridicoli e anacronistici come la patria.
Sarà che abbiamo letto e scritto troppo di fantascienza e che ci piacciono troppo le utopie, ma la Terra a noi piace vederla come è dallo spazio. Un’enorme sfera senza inizio e senza fine e soprattutto senza confini da noi inventati che decidono chi è a nord a sud ad ovest o ad est di… di che cosa?
Ci sentiamo lontani dal momento in cui Gandalf ritrova la via ne “La compagnia dell’anello”; del resto sempre per restare nella Terra di Mezzo (e finalmente ripulita dai neo-fascisti italiani che la invasero negli anni ’70) e agli insegnamenti del vecchio stregone, sappiamo che il nostro scoramento “vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi[…] possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso.”
Continueremo il nostro impegno, ma non ci venite a più a parlare di patria per favore; o di guerra per la salvaguardia dei nostri valori quando non ci avete mai chiesto l’autorizzazione per combattere in nostro nome; e già che ci siete fatela anche finita con il mito degli eroi del libro Cuore… che la Prima Guerra Mondiale di cui tanto ancora ci vantiamo per dimenticare di aver perso la seconda, non è cosa di cui andar fieri.[4]
Se le razze umane non esistono, cosa ampiamente e scientificamente dimostrata, figuriamoci quale senso oggi abbia il concetto di patria.
Il nostro impegno in questo nostro odierno Assurdistan ci sarà fin quando sarà possibile, poi da bravi disertori internazionalisti, andremo altrove a predicar la pace e bandir la guerra. E se dovessimo decidere di spendere la nostra unica vita lo faremo per cose molto più importanti, come canta ancora Pietro Gori: “Nostra patria è il mondo intero / nostra legge è la libertà / ed un pensiero ribelle / in cor ci sta.”
Alessandro Chiometti
[1] Ci riferiamo ovviamente alle ridicole dimissioni a Milano del consigliere del Pd Daniele Nahum (https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/24_marzo_13/dimissioni-di-nahum-dal-pd-emanuele-fiano-le-battaglie-si-fanno-nel-partito-ma-ha-ragione-a-gaza-nessun-genocidio-a0922516-95c8-440e-8800-9592e3bb3xlk.shtml ) e del presidente dell’Anpi Roberto Cenati (https://opinione.it/politica/2024/03/05/mimmo-fornari-dimissioni-presidente-anpi-milano-genocidio/).
[2] Meno ancora ha senso offendersi per il paragone e dire “non puoi dare a me del nazista perché il mio popolo ha subito la Shoah”. Allora non si può paragonare Stalin ad Hitler perché gli stalinisti non solo hanno subito le repressioni naziste ma hanno anche sconfitto la wermacht sul campo?
[3] Kurt Vonnegut, a cui avremmo assegnato un Nobel non solo per la letteratura ma anche per la pace, prende come riferimento i dati portati da David Irving sul bombardamento di Dresda. Lo pseudostorico austriaco si rivelò un negazionista dell’olocausto e un simpatizzante nazista; venne finanche arrestato in Austria nel 2006 dove i negazionismo storico è un reato penale. Ritrattò il negazionismo sulla Shoah dopo 400 giorni di carcere ma non le simpatie naziste. Tuttavia Kurt Vonnegut va completamente assolto sia perché i dati su Dresda sono abbastanza verosimili e le operazioni mirate solo ad uccidere i civili e a terrorizzare il nemico (le stesse effettuate su Vienna e su Tokio prima della bomba atomica) sono state ammesse anche dai comandanti americani, sia perché il coming out nazista di Irving avvenne solo vent’anni dopo l’uscita di Mattatoio n. 5.
[4] A chi è ancora affezionato alla propaganda della scuola italiana sull’eroismo italico della WWI consigliamo vivamente il libro “1917” di Angelo D’Orsi.