Credendo di mettere una toppa alle sue recenti esternazioni sulla scuola pubblica, Berlusconi ha aperto, senza rendersene conto, un altro baratro. «Io non ho mai attaccato la scuola pubblica – ha dichiarato sabato scorso in collegamento telefonico con la convention di Noi Riformatori di Avezzano – ho solo detto, parlando a dei cattolici, che bisogna riconoscere alle famiglie cattoliche che mandano i figli alla scuola pubblica il diritto a non vedere insegnati ai loro figli valori diversi da quelli in cui credono».
Già. Appare disdicevole che nei corsi di scienze si insegnino teorie mistificatorie sull’evoluzione della specie o sulla fisiologia dell’apparato genitale. Fosse mai che poi qualche ragazzo creda che non discendiamo da Adamo ed Eva o metta in dubbio che il sesso sia stato “pensato” ad esclusivo uso riproduttivo? Ma i pericoli vengono anche dai libri di storia. Perché un ragazzo cattolico dovrebbe conoscere la violenza sanguinaria delle Crociate o i crimini orrendi di cui si è macchiata la Santa Inquisizione?
Ma c’è un altro punto sul quale il premier non ha lesinato la sua sensibilità di uomo giusto: «Bisogna aiutare queste famiglie, magari con un buono scuola, perché anche quelle meno abbienti possano mandare i figli alla scuola che vogliono». Ecco, siamo finalmente arrivati al punto. Più che un aiuto alle famiglie meno abbienti, per le quali qualche centinaio di euro non farà certo la differenza, il premier deve aiutare se stesso e il Pdl per le prossime tornate elettorali.
Intanto, grazie alla longa manus della Finanziaria estiva 2008, per il prossimo anno sono previste 20mila cattedre e 14mila posti in meno per il personale non docente. Traducendo, (ancora) meno ore di lezione, migliaia di precari disoccupati, diminuzione del numero di classi con conseguente aumento del numero di alunni per classe. Ma anche meno bidelli, tecnici di laboratorio e dipendenti amministrativi.
In questo clima di polemica persistente, tra chi si indigna e chi lancia manifestazioni di protesta per difendere la scuola pubblica, c’è chi fa qualcosa di concreto sul territorio, presentando una proposta di referendum cittadino sui finanziamenti comunali alle scuole private paritarie. Succede a Bologna, dove 330 cittadini hanno costituito un Comitato promotore dal nome Articolo 33 che, ispirandosi all’omonimo articolo della Costituzione («Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato»), raccoglie il sostegno di otto associazioni del territorio (Assemblea genitori e insegnanti di Bologna, associazione Per la sinistra Bologna, circolo Uaar di Bologna, comitato bolognese Scuola e costituzione, Comitato genitori nidi e materne, Federazione lavoratori della conoscenza della CGIL, Rete laica Bologna, USB Bologna).
Il 4 marzo scorso il Comitato ha depositato in Comune la proposta di referendum consultivo per chiedere ai cittadini se preferiscono, per migliorare la qualità della scuola dell’infanzia, destinare tutti i fondi disponibili alle scuole comunali o devolverne parte anche alle scuole paritarie. Entro un mese il Comune dovrà convocare il Comitato dei garanti e, se il referendum sarà ritenuto accettabile, partirà la raccolta delle firme (ne servono 9mila) per indirlo.
A Bologna, come in tante città d’Italia, la carenza di posti nelle scuole dell’infanzia si fa sentire. Croniche liste di attesa che obbligano i genitori a iscrivere i figli in scuole private dimostrano, senza ombra di dubbio, che la richiesta di scuola pubblica non viene soddisfatta. In tutto ciò il Comune, invece di potenziare la rete delle sue scuole, elargisce fondi alle paritarie per un totale di oltre un milione di euro l’anno.
Ma Bologna è solamente uno dei troppi comuni italiani in cui ciò avviene. Le politiche economiche di questo governo e delle amministrazioni di uguale (e a volte anche di opposta) bandiera stanno affossando la nostra ricchezza intrinseca, ossia l’istruzione pubblica laica, democratica, pluralista e gratuita. E allora, perché non seguire l’esempio del Comitato bolognese per promuovere analoghe iniziative comunali e, a scalare, regionali e nazionali per impedire il finanziamento pubblico delle scuole paritarie?
Questo governo ha ormai dimostrato che la piazza non è più uno strumento di protesta efficace. Servono i fatti. Serve contarsi, e dire no. O almeno provarci.