Come estensore di questo articolo non posso negare che quanto riporterò nello stesso sia frutto di interpretazioni personali squisitamente estetiche, tra l’altro già ampiamente dibattute in altri contesti prima di riportarle su carta (o su file) in questa circostanza.
Farò un’ulteriore premessa: nell’analisi che farò menzionerò appena le responsabilità dell’occidente, che sicuramente ci sono ma non hanno alcun peso nelle successive decisioni autonome del “governo” jihadista e di coloro che lo compongono.
Ho anche il dovere di aggiungere un ulteriore particolare non trascurabile: quanto riporterò si basa sull’ipotesi (tutt’altro che assurda) che le informazioni dalla stampa occidentale degli ultimi mesi siano vere o rispondano comunque alla verità entro un certo margine, anche se saranno sicuramente forzate in favore del “resto del mondo” nella partita che vede tale schieramento opposto al califfato di Abu Bakr al-Baghdadi.
Tutto ciò premesso, iniziamo l’analisi di quello che (in base a come viene descritto dalla stampa nostrana) appare come uno dei fenomeni più stupidi, imbecilli e politicamente maldestri tra tutti gli esempi di “stato totalitario” dell’era moderna, al punto da superare perfino gli eccessi della Croazia di Ante Pavelic o della Cambogia di Pol Pot.
Non voglio improvvisarmi come un esperto di strategie politiche né come il “Clausewitz” della situazione ma, da quel poco che so di storia, l’obiettivo immediato di una nazione all’atto della sua nascita sarebbe quello di ottenere più riconoscimenti possibili almeno dalle realtà che ne condividono le vedute (siano queste di carattere politico, religioso e culturale).
Orbene il neonato ed aggressivo staterello si è creato al momento della sua proclamazione un isolamento politico pressoché totale riuscendo a guadagnarsi l’avversione della stessa Al Quaeda (grande nemico islamista dell’Occidente che però probabilmente detesta la concorrenza) e addirittura dell’Iran i cui vertici si sono recentemente dichiarati disposti ascendere in campo contro lo stesso califfato.
Sicuramente le suddette realtà vanteranno numerosi elementi tra i rispettivi schieramenti che individualmente con “giovane ardore” si saranno lanciati a fare la fila per entrare nelle schiere dei combattenti del Califfato, ma i vertici di questi due grandi nemici dell’occidente che sono geograficamente, culturalmente, politicamente e religiosamente più vicini al neonato “Stato islamico dell’Iraq e della Grande Siria”, hanno comunque deciso di prendere le distanze dallo stesso.
Sembra che l’Isis abbia deciso di puntare solo ed esclusivamente sugli ardori frementi dei singoli musulmani che da tutto il mondo stanno facendo le valige per arruolarsi tra le falangi jihadiste del califfo e non abbia capito l’importanza delle relazioni politiche anche finte o di convenienza (le avevano capite perfino Molotov e Ribbentropp).
Ma non basta: qui in occidente almeno fino a questo momento, se si esclude la propaganda chiaramente filo-Isis e ad esso direttamente o indirettamente legata, non è apparsa (almeno al sottoscritto) una sola sillaba di rilevo in sostegno dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.
All’epoca dell’11 settembre, superato lo sgomento iniziale dello storico attentato, in occidente ci fu una opposizione di fronti che tra l’altro si acuì con l’invasione dell’Iraq del 2003.
Per quanto non ben visto, Osama Bin Laden occupava un posto di riguardo nella mente dei cosiddetti “anti-imperialisti e/o anti-capitalisti”.
Personalità di spicco che si interrogavano per mettere l’accento sulle responsabilità di un certo occidente non mancarono e non mancano tutt’ora neppure di fronte alle efferatezze delle attuali milizie jihadiste, eppure adesso appaiono incredibilmente oscurate proprio da quelle stesse azioni perpetrate dai guerrieri del Corano.
L’opposizione all’aggressivo Califfato appare unanime e trasversale: destra e sinistra (e direi anche centro), atei e credenti di tutte le altre religioni (ma anche della stessa se consideriamo il pre-menzionato caso dell’Iran), liberisti e statalisti, non possono che dichiararsi contrari, chi per un motivo chi per un altro (politico, sociale, religioso o “contro-identitarista”), alla politica degli sgozzamenti , delle decapitazioni, delle esecuzioni sommarie di chi non é assoggettato ai dogmi del nuovo califfo del levante.
Del resto è anche normale che nel terzo millennio la politica di uno stato “stile di Mordor” che invade tutti i territori confinanti rendendone schiava la popolazione torturando o vendendo al mercato i prigionieri (soprattutto bambini) non sia molto ben vista da nessuno, neppure dai paesi meno (o per niente) democratici.
Per fare un esempio paradossale di casa nostra: era dall’epoca di Piazza Fontana che non vedevo fascisti in “sintonia di vedute occasionale” con gli anarchici !
Ed arriviamo così ad analizzare da vicino quella che appare come la grande vera e propria svolta politico-culturale generata in occidente dalle azioni dell’Isis: dagli anni 80 una certa opinione pubblica è stata abituata a pensare che il cosiddetto anti-occidentalismo affondasse le sue radici in un’empia alleanza tra islamismo e aree politiche di “derivazione di sinistra” dell’occidente.
Queste convinzioni sono maturate attraverso una serie di episodi sparsi per il mondo: a volte fondati, a volte montati ad arte (e spesso anche spinti dalla cinematografia).
In realtà tale dinamica è stata molto più complessa e variegata di quanto la si possa descrivere in poche righe, ma il messaggio manifesto o latente che arrivava in molti contesti sufficientemente superficiali dell’opinione pubblica occidentale era sostanzialmente questo.
A tutto ciò occorre aggiungere il radicale cambio di guardia politico che dagli anni 40 del secolo XX ha fatto registrare uno spostamento delle simpatie verso il popolo palestinese dell’estrema destra all’estrema sinistra, complementare a ciò che è accaduto alle simpatie politiche verso Israele (forse qualcuno ancora ricorda l’episodio non troppo recente della Sig.ra Santanchè che in diretta da Santoro arrivò a confondere la bandiera della Freedom Flottilla con quella di Hamas).
Non si può negare che lo stesso islamismo (antiamericano e antioccidentale) sia una creatura nata dalle sviste (o dalle volontà ?) politico-strategiche di un “certo occidente” ma che poi sia diventato un mostro che vive di vita propria che aggredisce i suoi creatori (volontari o involontari che siano).
Per quanto questa creatura abbia fini non condivisibili sia sul piano sociale che politico, le sue manifestazioni di crudeltà ed efferatezza (per quanto grette) hanno conservato fino all’epoca di Al Quaeda un fondo di “ideale eroico” o “anti-eroico pseudo-romantico” agli occhi dell’opinione pubblica più idiota e meno preparata a gestire un certo tipo di informazione (un kamikaze che si fa esplodere, così come una decapitazione davanti ad una telecamera hanno il loro effetto mediatico, indipendentemente da tutti gli ulteriori elementi che costituiscono un simile modo di fare notizia non facilmente intuibili al livello epidermico da una buona maggioranza di coloro che ascoltano i notiziari radio-televisivi).
Ora qualcosa è cambiato: davanti alle telecamere di tutto il mondo quel fondamentalismo islamista sta assediando un’enclave di cultura occidentale, perché il PKK (come il PYD e l’YPG) non possono non essere considerate espressioni di una cultura di estrazione socialista vicina all’occidente: un occidente tra l’altro non capitalista.
Infatti nei territori siriani, l’etnia curda ha dato vita ad una struttura sociale anarco-libertaria (diversa da quella adottata dalle altre fazioni curde presenti i Iraq e Turchia).
Come ha scritto l’antropologo e attivista americano David Graeber “ … il PKK non assomiglia neppure lontanamente al vecchio, organizzato verticalmente, partito Leninista che era una volta. La sua evoluzione interna, e la conversione intellettuale del suo fondatore, Abdullah Ocalan, detenuto in un’isola-prigione turca dal 1999, lo hanno condotto a cambiare radicalmente i propri scopi e le proprie tattiche. Il PKK ha dichiarato che esso non cerca nemmeno più di creare uno Stato curdo. Invece, ispirato in parte dalla visione dell’ecologista sociale e anarchico Murray Bookchin, ha adottato una visione di “municipalismo libertario”, invitando i curdi a formare libere comunità basate sull’autogoverno, basate sui principi della democrazia diretta, che si federeranno tra loro aldilà dei confini nazionali – che si spera che col tempo diventino sempre più privi di significato. In questo modo, suggeriscono i curdi, la loro lotta potrebbe diventare un modello per un movimento globale verso una radicale e genuina democrazia, un’economia cooperativa e la graduale dissoluzione dello stato-nazione burocratico.”
Insomma un modello sociale tanto caro all’estrema sinistra occidentale (soprattutto ai centri sociali) che tanto ricorda le comunità anarchiche della guerra civile spagnola.
Per la prima volta un modello culturale di estrazione decisamente occidentale (perché Bakunin e Malatesta sono figli dell’occidente esattamente come lo furono Marx e Lenin) generatore di quella sinistra che i repubblicani americani, gli esponenti del centro-destra italiano ed in generale i filo-atlantisti occidentali vedevano alleata dell’islamismo anti-capitalista, che la democraticissima polizia italiana ha manganellato allo storico G8 di Genova accusandoli di essere “comunisti”, si trova ora faccia a faccia in una lotta senza quartiere contro quella jihad islamista che la destra occidentale voleva vedere (a torto o a ragione) come sua “complice anti-capitalista”.
Sebbene il suddetto particolare non appaia immediato alla grande opinione pubblica, ne esiste un altro che non può affatto sfuggire all’attenzione generale: per la prima volta i miliziani dell’ISIS si trovano di fronte degli avversari/e forse più determinati/e di loro.
Si trovano di fronte delle donne emancipate che sono disposte a sacrificare la propria vita per difendere la loro esistenza, la loro emancipazione e la loro libertà !
I veri eroi di Kobane in questo momento sono proprio le donne che con la loro determinazione stanno mostrando al mondo intero che si può fermare il fondamentalismo con la stessa determinazione di quel fondamentalismo che fino ad oggi la cultura occidentale sembrava non essere in grado di eguagliare.
A questo va aggiunto il disonore (pari se non superiore a quello di Rodomonte nell’Orlando Furioso) che può provare un miliziano islamista maschilista e sessista ogni volta che un suo commilitone viene steso dai colpi di una combattente curda oppure ogni volta che una di loro si fa saltare in aria per non essere catturata viva trascinando qualche decina di jihadisti nell’affollatissimo cielo di Allah.
Nella sua offensiva centrifuga contro il mondo “con noi o contro di noi” l’Isis è riuscito ad ottenere un primato che nessuno poteva vantare negli ultimi trent’anni: ha fatto in modo che Kobane rappresentasse dal punto di vista politico-culturale una svolta storica nella visione occidentale degli schieramenti separando politicamente dall’islamismo quella sinistra che molti volevano vedere come sua alleata e perdendo parallelamente anche il primato della “determinazione fanatica” che contraddistingueva come un marchio di fabbrica i propri combattenti negli scontri militari.
Anche qui i vertici del califfato hanno trascurato uno dei teoremi fondamentali della strategia politica enunciato da Mao Tze Tung che consiste nel dividere e mantenere divisi gli schieramenti in casa degli avversari (cosa che aveva capito perfino Bin Laden).
Decisamente l’Isis, gretto nello stile quanto maldestro nelle strategie, fino a questo momento non ha mostrato di brillare in quanto ad acume politico: ci manca solo di assistere ad un attentato (da parte di qualche simpatizzante facinoroso filo-islamista) ad un club di tifosi della Juventus o della Roma e/o del Milan per veder mobilitata l’intera popolazione italiana in una “guerra santa di popolo” contro il neo-nato califfato del levante.
Francesco Saverio Paoletti