Sono passati quarant’anni da quando i robot giapponesi apparirono per la prima volta sulla tv italiana.
“Goldrake”, presentato come “Atlas Ufo Robot” irruppe nella scena dei programmi per bambini spazzando via tutto il resto. Facile per un ragazzone come lui. Ma per il pubblico italiano che non era abituato a quel genere di “anime” creò una vera crisi di rapporti fra i bambini che lo adoravano e i genitori che volevano proibirlo.
Le polemiche per la violenza del cartone animato divamparono, si pensò addirittura di istituire un apposito ministero dedicato alla censura dei cartoni animati. Poi fortunatamente l’intervento di alcuni intellettuali (fra cui Gianni Rodari) che ricordarono come i bambini non dovevano essere considerati delle mere spugne assorbenti pronti a ripetere tutto ciò che gli veniva mostrato, bensì ragionavano e rielaboravano le storie che vedevano anche secondo il sistema di valori che gli era stato dato, scongiurò l’oscurantismo e le generazioni dal ’70 in poi hanno potuto vedere tutti i capolavori giapponesi.
Goldrake in realtà era il terzo capitolo di una trilogia formata da “Mazinga Z” e poi dal “Grande Mazinga”, anche se per lunghi anni (fino alla pubblicazione dei manga originali) gli spettatori italiani non potevano cogliere i collegamenti visto i cambiamenti di nome dei protagonisti (ad esempio Koji Kabuto, pilota di Mazinga Z che viene chiamato Ryo nel “Grande Mazinga” e Alcor su “Goldrake”).
Poi da allora l’invasione di robot a altri prodotti fantascientifici nipponici è stata quasi inarrestabile, basta pensare a Jeeg Robot, a Daitarn III, a Kyashan, Star Blazers, Capitan Harlock, fino forse all’ultimo a nostro avviso degno di nota, ovvero Kenshiro in cui già si avvertiva il passaggio ad anime molto diversi e che probabilmente eravamo già troppo grandi per comprendere.
Se è ovvio e naturale, per noi che ai quaranta ci siamo arrivati qualche anno fa, pensare con nostalgia a quei tempi, meno naturale è pensare che quei futuri che ci parlavano di un Pianeta Terra con una sola razza umana unita nel combattere per la propria libertà.
Certo, in quel caso (senza chiamare in causa l’analisi sociologica fatta poi da Alan Moore con il suo fumetto-manifesto Watchmen) si era facilitati nella necessità di far fronte ad un nemico comune quasi sempre alieno.
Ma forse basterebbe guardarsi intorno e osservare com’è ridotto il nostro pianeta per capire che il nemico comune ce l’abbiamo già.
Alessandro Chiometti