I vescovi contro Zapatero [La Stampa]

Pubblicato da

… ovvero: "DIECI MOTIVI PER NON VOTARLO".

Il primo ministro si difende: la maggioranza è dalla mia parte
LUIGI LA SPINA su La Stampa del 1/2/2008

Il ministero della Sanità fronteggia uno dei più belli e noti viali di Madrid, il Paseo del Prado. Sulla facciata spiccano tre enormi fotografie con i volti di alcuni fra gli uomini più conosciuti della Spagna: un famoso giudice, uno scrittore e un presentatore tv. Sono, tutti e tre, gay dichiarati e, sotto i loro sorrisi, c'è un messaggio esplicito: «Noi usiamo il preservativo».


Basterebbe pensare a una trasposizione italica di tale scena, con gli effetti che avrebbe nella nostra società, per capire come, nonostante le apparenze, Madrid sia molto più lontana dalle nostre città delle due ore scarse che un aereo impiega per collegare i nostri due paesi latini. E per capire come il capo di governo di una nazione nominalmente cattolica come la Spagna possa affrontare senza troppi timori, senza imbarazzate giustificazioni, soprattutto senza palinodie un attacco così duro come quello che, ieri, i vescovi spagnoli gli hanno sferrato. Eppure, si stimano ancora in 8-10 milioni gli spagnoli praticanti. Persino nel suo partito, il Psoe, Luis Rodriguez Zapatero può trovare tra gli uno e i due milioni di sostenitori che si dichiarano cattolici.

La Spagna, erede di un impero unitario dalla fine del Quattrocento, conta su un senso dello Stato orgogliosamente difeso da tutti i suoi cittadini. Una separazione con la Chiesa tranquillamente rivendicata dall'intera classe politica, anche quella del centrodestra. E' significativo, a questo proposito, che i leader del Partito popolare, lo schieramento che cercherà, il 9 marzo, di ottenere i voti per scalzare Zapatero dal palazzo presidenziale della Moncloa, non abbiano promesso, ad esempio, di cancellare tutte quelle riforme introdotte da colui che, in Italia, viene dipinto come un pericoloso e incosciente mangiapreti. Vogliono solamente togliere la dizione «matrimonio» alle unioni tra gay, ma non si sognano di abolire una legislazione di protezione giuridica ben più estesa di quella che era prevista nei cosiddetti «Dico», la proposta avanzata timidamente dal centrosinistra italiano e subito naufragata per i dissidi interni all'Unione.

Così le riforme approvate da Zapatero nel campo dei diritti civili, quelle più contundenti nei confronti della Chiesa, hanno ottenuto un consenso valutato, dai sondaggi dell'epoca, tra il 70 e l'80 per cento della popolazione. Ecco perché nel ritratto che traccia Suso de Toro nell'ultimo libro sul leader spagnolo, Zapatero rivendica di «non essere affatto un radicale» e di aver sempre interpretato il pensiero e la volontà della maggioranza dei suoi compatrioti.

Maria Teresa Fernandez de la Vega, vicepresidente del suo governo, peraltro composto per la metà da donne, forse caso unico al mondo, riassume la personalità del premier spagnolo con una formula molto efficace: «Una miscela di idealismo e pragmatismo». Zapatero è uno strano leader carismatico che deve smentire la sua fama di «timido», una caratteristica inadatta alla figura del capo di un partito moderno, ma si compiace di presentarsi come «reservado» e «austero». Una attitudine a frenare l'eccessiva esibizione di sé, che lui stesso definisce, con un termine difficilmente traducibile con una solo parola italiana «contencion». «La principale virtù – afferma il premier – di chi ha anche molto potere».

Perché un capo di governo che autodescrive la propria personalità a tinte così poco rutilanti abbia puntato la gran parte del suo primo mandato su un tale allargamento dei diritti individuali da suscitare la furibonda opposizione della Chiesa, in un paese, comunque, di antica tradizione cattolica, è spiegato da lui stesso con queste parole, sempre affidate al suo biografo: «Teoricamente il principio di uguaglianza tra uomo e donna non era una questione prioritaria della socialdemocrazia classica, così come lo era la difesa dei lavoratori, l'educazione, l'accesso alla sanità. Oggi, invece, è prioritaria, perché è un fattore di democratizzazione sociale. La sinistra operaia mancò di capire, ed è comprensibile per l'epoca, che il soggetto di cambio della storia, soprattutto nel XXI° secolo,… è la cittadinanza. Questo significa un'ampia espansione dei diritti, di libertà. Diritti sociali, economici e individuali».

Zapatero è consapevole, dunque, che la sua proposta ai partiti riformisti dell'Europa si differenzia notevolmente dai canoni della socialdemocrazia classica. E' la variante iberica, applicata con la massima coerenza e con la massima decisione. Una parte della società spagnola, appoggiata dai vescovi, è rimasta traumatizzata dall'esperimento. Il 9 marzo sapremo se la maggioranza dei cittadini di questo paese riterrà che l' esperimento possa continuare.

1 Febbraio 2008   |   articoli   |   Tags: