La sala rossa di Palazzo Gazzoli era gremita di gente; persone di tutte le età con una grande affluenza, e questa è una novità, di giovani. Un segno che questi temi non sono solo appannaggio di uno sparuto gruppo di veterofemministe o di attivisti nostalgici della laicità, ma stanno raggiungendo le nuove generazioni…quelle, dopo tutto, maggiormente interessate all’obiezione di coscienza, all’aborto, alla contraccezione nonché le più condizionate nella loro libertà di autodeterminazione da leggi liberticide basate su un’etica che di “cattolico”, cioè universale, ha davvero poco.
Tanti gli ospiti invitati sul palco e, seconda novità, si è data voce sia ai tecnici – ginecologi o chirurghi che applicano nella quotidianità la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza – sia ai politici, le figure che possono dare risposte pratiche ai problemi sollevati da chi opera nel settore. Un momento raro e inusuale di confronto teso a guardare l’obiezione di coscienza nelle sue varie sfaccettature.
Perché obiettare è davvero un diritto del medico? E soprattutto, un presunto diritto di una categoria professionale può inficiare un altro diritto riconosciuto dalla legge, che è quello della donna di non portare a termine una gravidanza? Già, perché in Italia l’obiezione di coscienza viene professata da quasi il 70 per cento dei ginecologi e quasi il 45 per cento degli anestesisti. Con risultati variabili da regione a regione (siamo sopra all’80 per cento in Sicilia, Basilicata, Molise, Campania) e intere strutture ospedaliere che chiudono il servizio per la mancanza di medici non obiettori.
La legge 194, riconoscendo il diritto del medico all’obiezione di coscienza, delega alle Regioni al controllo dell’applicazione del servizio, ma non specifica i modi né le contromisure da adottare nei numerosi casi di inadempienza, quelli, per intenderci, che costringono le donne a cambiare città se non addirittura regione per poter abortire.
Ma gli strumenti di controllo e gestione ci sarebbero e sta alla politica definirli: mobilità del personale, assunzioni mirate, decurtazione dello stipendio degli obiettori i quali, a parità di guadagno, lavorano meno dei colleghi non obiettori sui quali “scaricano” parte delle loro mansioni.
E allora ben vengano momenti di confronto come questi, che servono a informare i cittadini tramite le testimonianze dirette di chi lavora nel settore e contemporaneamente offrono la relativa visione politica di quelle forze che magari tra pochi mesi siederanno sugli scranni parlamentari e saranno chiamate a legiferare.
Da parte mia, non posso che ringraziare Civiltà Laica, l’Uaar e Terni Donne per essere stata invitata a moderare un dibattito non certo facile ma molto istruttivo in un periodo in cui i diritti, e non solo quello di abortire, sembrano un “di cui” della democrazia quando invece ne definiscono la stessa solidità.
Cecilia M. Calamani