In Val di Non alcuni giovani hanno chiesto un confronto con il loro arcivescovo, Luigi Bressan, per discutere dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’affettività. C’è bisogno di meno rigidità da parte della Sacra Istituzione, c’è bisogno di comprensione e adattamento ai cambiamenti di costumi che inevitabilmente la Storia impone. E così, l’arcivescovo Bressan, non si è sottratto. Si sa che quando i giovani chiamano è da sciocchi far finta di non sentire, sempre meglio farsi vedere disponibili al dialogo e pronti a mettersi in gioco: hai visto mai che qualche nuova pecorella entri a far parte dell’ovile?
Fra un sol maggiore e qualche inno suonato con l’immancabile chitarra, il lungimirante arcivescovo ha tenuto testa a un plotone di post-adolescenti che parlavano di amore, famiglia, profilattici e omosessualità come se fossimo nel Duemiladieci-quasi-duemilaundici. Ma lui, l’eroe trentino della tradizione, non si è scomposto – d’altra parte non avrebbe potuto farlo visto che ha voluto sapere con larghissimo anticipo tutte le domande che gli avrebbero posto gli scalmanati – e senza fare una piega, senza mostrare il minimo cenno di un sorriso che potesse svelare l’ironia del suo ardito racconto o la palese coscienza dell’enorme castroneria che stava per sparare senza avviso, proprio come un nonno davanti al camino delle fiabe della sera, ha raccontato di quanto sia difficile per chi legge giornaletti spinti o si dedica alla visione di poco morigerati spettacoli, avere una vita sessuale normale e lontana dalle deviazioni. E dire che tutti noi siamo cresciuti con l’idea che un giornaletto pornografico nascosto sotto al letto di un adolescente fosse un evidente sintomo di sanissima normalità. Quanto ci sbagliavamo!
E quanto eravamo lontani anche dalla verità sugli “esseri omosessuali”. Per anni ci siamo arrovellati cercando giustificazioni di matrice psicologica e ricercando, attraverso le testimonianze dirette, i punti in comune fra le diverse esperienze che potessero giustificare la “malattia”. Abbiamo pensato che fosse colpa della Madre, poi abbiamo dato la colpa al Padre e alla fine, risparmiando processi allo Spirito Santo, abbiamo creduto che fosse colpa della moda: come resistere a quei boa di struzzo? Ma eravamo in errore. Lo stesso Povia aveva più ragione di noi: dalla gaytudine si può guarire. E se con Povia pensavamo di essere arrivati alla verità assoluta, era solo perché ancora non avevamo ascoltato le parole dell’arcivescovo Luigi Bressan che davanti alla platea di ragazzi cresciuti con internet, con Lady Gaga e con Super Quark ha avuto l’ardire di sfidare il ridicolo e i fischi e forse anche qualche blasfemia e raccontare la storia – che ha tenuto a precisare essere vera, trattandosi di una sua diretta conoscenza – di un ragazzo che è diventato gay dopo aver provato un profumo. Lui, questo ragazzo, ha vaporizzato sul suo corpo un profumo da donna e dopo “un percorso durato dodici mesi” – pare infatti che sia questo il tempo di incubazione del “germe” – è diventato omosessuale.
Dunque non si tratta di una malattia, ma di una scelta avventata o forse addirittura voluta. In attesa che qualche profumiere scovi l’antidoto per rivendere sul mercato un prodotto che sconfigga gli effetti collaterali di Chanel, ci auguriamo che al dotto arcivescovo non venga in mente di andare ad annusare accidentalmente qualche uovo e ritrovarsi nei panni di una vecchia gallina starnazzante.
Nicoletta Rocca – Cronache Laiche