Nell'elenco delle minacce al benessere dell'umanità e alla giustizia che il Papa ha presentato alle rappresentanze diplomatiche c'è anche quello alla famiglia: indebolita e «relativizzata», a suo parere, da forme di riconoscimento di rapporti diversi da quelli fondati sul matrimonio eterosessuale. Ci si può chiedere se si tratti di una minaccia della stessa gravità di altre pure ricordate dal Pontefice: le guerre, la povertà estrema, la mancanza di cibo e di acqua potabile che condannano a morte (senza eutanasia) milioni di persone, inclusi i bambini. E se porre quella sullo stesso piano di queste non sia, essa sì, una forma di relativizzazione grave, che mette sullo stesso piano un pacs e una guerra civile, l'amore omosessuale e l'indifferenza colpevole per le condizioni di sopravvivenza di intere popolazioni, i Paesi e i governanti che riconoscono diritti alle coppie non coniugate, etero o omosessuali, e i Paesi e i governanti che fanno della violenza contro i propri e altrui sudditi sistema di governo.
Ma rimaniamo alla questione della relativizzazione della famiglia
denunciata dal Papa e subito raccolta dal dibattito politico di casa
nostra, sempre ossessivamente preoccupato di ogni respiro d'Oltretevere
su questo argomento. Storici, antropologi, giuristi hanno documentato
da tempo che la famiglia è una delle istituzioni sociali più mutevoli
nello spazio e nel tempo, quindi costantemente «relativizzata». A parte
la questione della poligamia, non è sempre stato vero, ad esempio, che
un matrimonio è valido solo se c'è il consenso di chi si sposa. E la
stessa Chiesa cattolica ha modificato l'età minima alle nozze solo dopo
che questa era stata innalzata nella maggior parte dei Paesi
occidentali negli Anni 70 del Novecento. Prima, veniva considerato
accettabile che una bambina venisse fatta sposare a 14 anni, se i
genitori davano il loro consenso e se il matrimonio riparava una
attività sessuale precoce, una violenza, una gravidanza. Anche il
fenomeno famigliare più apparentemente ovvio e «naturale» – la
filiazione – non è affatto regolato nello stesso modo sempre e
dovunque, ovvero non tutte le società definiscono nello stesso modo di
chi sono i figli e quali tra i bambini che nascono hanno diritto al
pieno statuto di figli. Senza andare troppo lontano, in Italia solo nel
1975 è sparita definitivamente la distinzione tra figli naturali e
legittimi, e neppure del tutto.
La storia della famiglia è
anche una storia – spesso tortuosa, conflittuale e certamente non
compiuta – di civilizzazione dei rapporti tra i sessi e le generazioni.
In Occidente, anche il cristianesimo e in particolare la Chiesa
cattolica hanno avuto una parte importante, anche se non sempre
lineare, in questa storia di continue ridefinizioni.
Nulla di
meno naturale della famiglia, quindi, e per fortuna. Perché in nome
delle «norme naturali» si sono avallate, e in molti Paesi tuttora si
avallano, violenze e sopraffazioni: degli uomini sulle donne, dei
genitori sui figli, dei più vecchi sui più giovani. Non a caso le
trasformazioni più rilevanti, anche a livello normativo, della famiglia
avvengono a seguito dell'ampliarsi dei diritti civili dei singoli e
della consapevolezza della dignità e capacità delle persone.
Non
è quindi in nome dell'immutabilità della famiglia che ci si può opporre
a una forma di regolazione delle unioni civili, etero o omosessuali. I
motivi hanno piuttosto a che fare con idee di normalità e sessualità
più o meno condivise. Mentre il Papa, come chiunque di noi, può
discettare su amori forti, deboli e deviati, compito della politica è
verificare solo se vengono lesi i diritti di qualcuno o messe a
repentaglio istituzioni fondamentali. Chi vorrà sposarsi continuerà a
farlo. Nessuno diverrà omosessuale solo perché le coppie omosessuali
otterranno qualche diritto. E non si capisce che danno sociale possa
derivare dal consentire a relazioni di amore e solidarietà di dare
luogo a diritti e responsabilità anche con rilevanza pubblica invece
che rimanere nella clandestinità. Anzi, il riconoscerle offrirà
protezione da rischi di irresponsabilità e sopraffazione. Altri Paesi,
altri governi, hanno da tempo operato questo passo, offrendo soluzioni
diverse senza provocare rotture sociali e fughe nella irresponsabilità.
Non
sarebbe sorprendente se il governo entrasse in crisi su famiglia e
diritti civili – da sempre terreno minato della politica italiana. Ma
sarebbe anche il de profundis dell'intelligenza (oltre che dei diritti
civili e della laicità dello Stato).
Chiara Saraceno su La Stampa del 10/1/2007