Secondo il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992, §848, è «compito imprescindibile della Chiesa, ed insieme sacro diritto, evangelizzare» (Vaticano II, Ad gentes 7) tutti gli uomini. Si tratta dunque non solo di un dovere, che alla Chiesa tocca assolvere, ma di un diritto che può esercitare su chi gli si oppone. Così l’evangelizzazione legittima un’altra forma di guerra, la “conquista”.
Il papa, padrone del mondo. Il primo documento che legittimò la guerra di conquista coloniale fu la bolla Romanus Pontifex (1454) di Niccolò V, in cui si afferma che il papa potrà meglio «condurre il gregge affidatogli per ordine divino nell’unico ovile del Signore… se ricompenseremo con particolari favori e speciali privilegi quei re e principi cattolici, … che come atleti e intemerati difensori della Fede Cristiana … conquistano regni e territori… e li assoggettano al loro dominio temporale per la difesa e la grandezza della medesima Fede», assegnandoli loro in perpetuo godimento.
Ciò implica anche l’idea che il papa sia padrone del mondo, resa esplicita da Alessandro VI nella bolla Inter caetera (1493), con cui assegna alla Spagna tutte le terre «trovate e ancora da trovare» a Ovest di Capo Verde, e al Portogallo quelle a Est, in cambio dell’impegno «di nominare nei suddetti continenti e isole uomini valorosi, timorosi di Dio, colti, abili e esperti, allo scopo di istruire i suddetti abitanti e residenti nella fede cattolica e di educarli nella buona morale».
Il documento che codificò questo diritto alla conquista, ribadito dai teologi e missionari del tempo, fu il Requerimiento, redatto nel 1513 da giuristi spagnoli. Pur non essendo diretta emanazione della Chiesa, esso ricalca quasi alla lettera le bolle di Niccolò V e Alessandro VI, e fu stato scritto perché i conquistatori lo leggessero ai nativi . Esso spiegava come «Dio nostro Signore, uno ed eterno, creò il cielo e la terra» e mise a capo di tutte le genti il papa «perché fosse signore e superiore a tutti gli uomini… e donò a lui tutto il mondo come suo regno, signoria e giurisdizione.» Il documento intima quindi ai nativi «di riconoscere come signora suprema nell’universo mondo la Chiesa e il Sommo Pontefice, chiamato Papa, in suo nome, e il Re e la Regina» promettendo «privilegi» a chi si convertirà «alla nostra santa fede cattolica, come hanno fatto quasi tutti i vicini delle altre isole» e concludendo che se non obbediranno «scaricherò la mia potenza contro di voi e vi farò guerra in ogni luogo e maniera che mi sia possibile, e vi sommetterò al giogo e all’obbedienza della Chiesa e di Loro Altezze, e catturerò voi stessi e le vostre donne e figli e vi farò schiavi».
La Chiesa ha sbagliato? In conclusione, per dirla con un cattolico del dissenso,«L’orizzonte della evangelizzazione aveva una eloquente rassomiglianza con l’orizzonte della colonizzazione» (padre Ernesto Balducci, «Fine dell’etnocentrismo», Testimonianze, 166, 1974).
Ci troviamo quindi a porci la consueta domanda: la Chiesa crede ancora adesso di avere la proprietà dell’orbe terraqueo e di poterne disporre, ancora oggi sostiene la colonizzazione come via all’evangelizzazione? O il papa, in una bolla solenne dove parla «in virtù e nella pienezza del suo potere apostolico», si è sbagliato, ha fatto credere ai fedeli del tempo una panzana e ha compiuto un sopruso?
Certo è che le cose non cambiarono molto nei secoli seguenti. Nel 1919 Benedetto XV cominciò a prendere le distanze dal colonialismo osservando con «gran dispiacere» che in «certe riviste di missioni… più che lo zelo si estendere il regno di Dio, apparisce evidente il desiderio di allargare l’influenza del proprio paese», ma nel 1937 padre Messineo scriveva su La Civiltà Cattolica che «il problema della colonizzazione…sarà sempre principalmente problema di pacifica penetrazione, di persuasione, di conquista perenne» di cui «sentiamo l’enorme bellezza» e «subiamo il fascino immenso e inestinguibile». E Pio XI si spinse a giustificare la guerra coloniale contro l’Etiopia, poiché «una guerra divenuta necessaria per l’espansione di una popolazione che aumenta di giorno in giorno, una guerra intrapresa per difendere o assicurare la sicurezza materiale a un Paese, una tale guerra si giustificherebbe da sola». «[Dio] guarda pietoso», recita la Preghiera per gli Italiani dell’Africa orientale (1935), «ai figli di questo popolo privilegiato, che nell’Africa Orientale, con tanto spirito di eroismo, stanno svolgendo una missione di civiltà e di cristianesimo».
Anzi, sbaglia ancora. A togliere ogni dubbio sul giudizio assolutorio che la Chiesa dà del connubio fra evangelizzazione e colonizzazione stanno infine le dichiarazioni di Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Il primo ha affermato, durante il suo viaggio in America latina del 1987: «Il seme della fede cristiana fu portato nel Cile dalla spedizione di Magellano, e più tardi da quella di Almagro….Ringraziamo il Signore per questa eredità di fede, che… iniziò a dare frutto in queste terre, grazie al grande impulso evangelizzatore dei figli di Spagna. È emozionante leggere i racconti e le testimonianze di quelle eroiche gesta. In esse – al di là delle umane debolezze e del comprensibile desiderio di conquista – prevalse certamente ed in modo ammirevole la volontà di trasmettere al Nuovo Mondo la buona novella del messaggio cristiano…» (Omelia a Avenida Costanera, 4 aprile).
Il secondo, non contento delle proteste suscitate dal suo predecessore e provocandone di ancora maggiori, dichiarò che «l’annuncio di Gesù e del suo Vangelo non comportò, in nessun momento, un’alienazione delle culture precolombiane, né fu un’imposizione di una cultura straniera» (Discorso per la V conferenza episcopale dell’America latina e dei Caraibi, Brasile, 2007). Si tratta di un convincimento invincibile se è vero che nonostante le vivaci proteste delle comunità latinoamericane e le successive abborracciate scuse papali, Benedetto ci è puntualmente ricascato dichiarando, durante il suo viaggio in Africa nel 2010: «mi piace andare col pensiero indietro di cinquecento anni…quando in queste terre, allora visitate [corsivo mio] dai portoghesi, venne costituito il primo regno cristiano sub-sahariano… Vedete come due etnie tanto diverse – quella banta e quella lusiade – hanno potuto trovare nella religione cristiana una piattaforma d’intesa» (Omelia a São Paolo di Luanda, 21/3/2009).
Colonizzare per evangelizzare sembra insomma non dispiacere alla Chiesa, se si ripresenterà l’occasione.
Walter Peruzzi – Cronache Laiche