A breve distanza di tempo dall’efferato triplice omicidio di stampo mafioso che si è consumato a Taranto, in cui un pregiudicato in libertà vigliata, la sua compagna e il figlio di pochi anni sono stati crivellati di proiettili in auto per strada senza che nessuno abbia visto nulla, un altro episodio, certamente meno grave ma non meno oscuro, si è consumato nella città pugliese. Il furto sacrilego di una teca settecentesca contenente le reliquie di sant’Egidio, sottratta dalla chiesa di san Pasquale, si è risolto in poche ore con la riconsegna dell’oggetto sacro nelle sicure mani dell’arcivescovo Filippo Santoro. A recuperare il maltolto non sono state le forze dell’ordine, ma una persona che ha voluto rimanere anonima, sconosciuta allo stesso prelato, che ha riportato personalmente l’oggetto di culto in curia. Questa la dichiarazione dell’arcivescovo secondo quanto riferisce il quotidiano locale Taranto Buonasera: «Sono da un lato rammaricato di questo atto oltraggioso verso un oggetto di culto, ma altresì commosso per la nobiltà d’animo della persona che ha voluto consegnare le reliquie del santo tarantino». Seguirà messa di riparazione, quel che serve per mettere la parola fine sopra a questa storiaccia, da celebrare domenica prossima nella chiesa di San Pasquale.
Restano però molti interrogativi. Ad esempio chi è lo sconosciuto che ha ottenuto di farsi ricevere personalmente dall’arcivescovo per restituirgli un corpo di reato e grazie a quali frequentazioni si è procurato in così breve tempo (“da terze persone”) una refurtiva così ingombrante. L’ignoto ricettatore avrà avuto dei validi motivi per non rivolgersi alla polizia e presentarsi invece con il voluminoso reperto direttamente in curia, dove sicuramente non ha dovuto fornire generalità né ampie spiegazioni. Quel che appare inaudito è come l’arcivescovo abbia accettato questo “dono” da parte del misterioso devoto, apparentemente senza esitazioni e senza porsi domande; eppure prima ancora che un atto sacrilego, un peccato emendabile con un gesto di ravvedimento e pentimento, c’era un reato e dei colpevoli da individuare e punire, e c’erano le forze di polizia impegnate nelle indagini.
Taranto è una città moralmente ed economicamente in crisi, in preda alla criminalità organizzata e a una classe politica sotto inchiesta per le collusioni con il grande avvelenatore Ilva. Una città nella quale si deve riaffermare il primato della legalità e della moralità nella vita civile. Ma per fare questo occorrono comportamenti pubblici che siano di esempio, da parte delle Istituzioni ma anche da parte degli uomini di Chiesa che tuttora godono di ampio credito. Per recuperare una reliquia rubata un vescovo non può mostrare approvazione e riconoscenza verso misteriosi personaggi che per devozione, ma senza metterci la faccia, si offrono come riparatori dei torti al posto dello Stato.
Stridono, a tal proposito, le parole pronunciate giusto il 21 marzo dal papa in occasione della XIX Giornata in ricordo delle vittime di mafia: «Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini, denaro insanguinato e potere insanguinato, non potrai portarlo all’altra vita. Convertitevi, c’è ancora tempo per non finire nell’inferno, quello che vi aspetta se continuate su questa strada». C’è poco da convertirsi, la criminalità organizzata mostra da sempre enorme devozione e rispetto verso la Chiesa, come dimostra (tra i tanti altri) l’episodio avvenuto in Puglia. Forse Bergoglio, invece di rivolgersi ai mafiosi – sempre in prima fila nelle messe domenicali e pronti a difendere il culto e gli oggetti di cui si serve – farebbe bene a chiedere ai suoi di prendere le distanze per primi da una devozione macchiata di crimine, come quella che ha fatto ricomparire magicamente, per miracolo della fede, la sacra reliquia al suo posto nella chiesa tarantina.
Giuseppe Ancona – Cronache Laiche