Emerge con crescente frequenza la protesta dei cittadini nei confronti delle spese che le comunità locali e lo Stato sostengono per organizzare l’accoglienza e lo svolgimento delle visite di papa Benedetto XVI in diverse città italiane. Molti cittadini, dalle pagine dei giornali e dalla rete, si interrogano sulla opportunità di continuare a spendere somme ingenti per eventi che interessano non più la totalità dei cittadini italiani, ma solo una quota di essi, peraltro in continua diminuzione. La protesta pone giustamente in evidenza che il Papa non è un esponente politico italiano, non rappresenta i cittadini né ricopre cariche istituzionali all’interno del nostro paese. Trattandosi di un Capo di Stato estero se venisse in visita ufficiale di Stato sarebbe doveroso, secondo una prassi internazionale, ospitarlo ed organizzare in un quadro di reciprocità la sua accoglienza, ma quando il Papa interviene come capo religioso ad eventi confessionali oppure si reca in visita pastorale alle diocesi, la sua presenza ha significato e importanza solo nell’ambito della religione che rappresenta. Da parte della Chiesa è costante l’azione per accreditarsi come referente etico anche nell’ambito di una dimensione pubblica e civile, ma quando l’istanza è rivolta nei confronti d uno Stato laico si è in presenza di una mera pretesa che dovrebbe essere fermamente osteggiata proprio dagli stessi rappresentanti politici italiani. Riprendendo il dubbio iniziale, è giusto che il Governo e i poteri locali stanzino ingenti importi per l’organizzazione di eventi di culto distribuendo così in modo surrettizio fondi alla religione cattolica? Alcuni rispondono che si tratterebbe di eventi non frequenti e dai costi contenuti per cui sollevare la questione sarebbe solo il pretesto per un ennesimo attacco alla Chiesa cattolica. In realtà gli eventi sono abbastanza frequenti e dal punto di vista economico non si tratta di cose da poco conto. Sembra infatti che la trasferta del Papa ad Arezzo sia costata allo Stato e alle amministrazioni locali mezzo milione di euro. In occasione della mostra della Sindone a Torino furono spesi due milioni di euro, per la visita di Papa Ratzinger a Lamezia Terme altri due milioni di euro, per il Congresso eucaristico ad Ancona quattro milioni di euro e cinque milioni per la beatificazione di Papa Woityla. La visita del Papa a Milano per la Giornata delle Famiglie del giugno 2012 ha comportato un esborso di tre milioni e centomila euro per il Comune di Milano e di due milioni per la Regione Lombardia. Escludendo che sia il Concordato tra Stato e Chiesa, come qualcun altro crede, a imporre simili oneri, la motivazione addotta dagli amministratori pubblici per giustificare tali spese è che eventi di questo tipo farebbero conoscere il territorio e le città italiane nel mondo, accrescendo le presenze turistiche e promovendo tutto il territorio. In quest’ottica sarebbe quindi opportuno che tali iniziative fossero sostenute e finanziate al pari di ogni altro investimento pubblico. A parte il fatto che costoro trasformano il Papa in un “testimonial” turistico, c’è da dire che l’impiego delle stesse somme in altre forme di promozione turistica sarebbe sicuramente meno ambiguo e meno aleatorio dal punto di vista dell’investimento. Infatti simili eventi si trasformano spesso in flop economici in quanto non assicurano un adeguato ritorno di benefici per le comunità locali. Un esempio fu rappresentato a suo tempo dai colossali investimenti per il Giubileo a Roma del 2000 che portò ampia risonanza alla figura del Papa e al cattolicesimo ma non altrettante risorse economiche a chi aveva investito in esso. In epoca più recente, la stessa visita del Papa ad Arezzo ha visto una partecipazione di folla inferiore alle aspettative.. Alle somme stanziate direttamente dal Governo e dagli Enti locali in occasione degli eventi religiosi, che prevedano o no la presenza papale, si aggiungono poi i costi a carico della Protezione Civile nel caso in cui l’evento religioso sia classificato come Grande Evento. Una legge del 2001 (1) assegna infatti alla Protezione Civile il compito di organizzare e gestire i cosiddetti Grandi Eventi con conseguente ulteriore esborso di denaro pubblico. La stessa decisione di dichiarare “Grande” un evento appare qualche volta discutibile: se leggiamo l’elenco dei Grandi Eventi dal 2001 ad oggi si nota che la maggior parte sono di tipo religioso, ovviamente cattolico. Su 34 Grandi Eventi proclamati sino ad oggi, ben venti sono eventi confessionali. Alcuni di questi sono peraltro di scarsissimo rilievo come quello della celebrazione dei quattrocento anni della nascita di San Giuseppe da Copertino, altri di discutibile opportunità come quello relativo alla canonizzazione di Josè Maria Escrivà, fondatore dell’Opus Dei. Le considerazioni conclusive sono di due tipi. La prima è economica: le spese sostenute dalla comunità sono obiettivamente elevate e difficilmente giustificabili, soprattutto in un momento di grave crisi economica in cui sono richiesti ai cittadini forti sacrifici. La seconda considerazione riguarda l’opportunità di finanziare eventi esclusivamente cattolici, cosa che va a ledere il principio di laicità dello Stato e d’eguaglianza tra le diverse confessioni religiose. Le visite pastorali del Papa a Savona, a Brindisi e a Cagliari e le cerimonie di beatificazione degli esponenti cattolici hanno come effetto principale quello di promuovere l’immagine buona del cattolicesimo e la figura del Papa. Inoltre è evidente che le visite del capo di una Chiesa ai propri fedeli sono un fatto interno alla religione che non dovrebbe riguardare lo Stato Italiano e andrebbero pertanto organizzate e pagate con denaro della Chiesa. Si potrebbe aggiungere, senza voler essere provocatòri, che la Chiesa cattolica dovrebbe rimborsare lo Stato italiano dei costi dei servizi generali che è costretto a sostenere per questi eventi (ordine pubblico, traffico, predisposizione dei luoghi, aree di atterraggio per l’elicottero del Papa, ecc). La protesta in questi giorni appare ancor più giustificata alla luce del tragico evento sismico che ha colpito l’Emilia Romagna, per cui sarebbe stato logico e corretto ridurre la partecipazione pubblica all’evento di Milano, destinando parte o tutte quelle risorse ai terremotati. Gli uomini di governo che deliberano, a livello locale o centrale, simili interventi di spesa dovrebbero giudicare più oculatamente l’utilità e l’importanza degli eventi finanziati, e soprattutto valutare se le stesse somme non sarebbero forse più produttive se impiegate in altro modo, lasciando alla Chiesa il compito e l’onere di organizzare da sola e con il contributo dei credenti le sue manifestazioni. E’ sempre presente il sospetto che la scelta di patrocinare o contribuire ad un evento religioso sia influenzata dalla volontà di ingraziarsi l’elettorato cattolico e soprattutto la benevolenza delle gerarchie religiose, piuttosto che perseguire il reale interesse della comunità. Dubbio che trova conferma, se si guarda al comportamento dei nostri politici di fronte al Papa e ai porporati nei cui confronti si esibiscono in gesti di sottomissione quasi feudale. I cittadini di uno Stato che ambisce ad essere moderno e laico hanno il diritto di pretendere che i loro rappresentanti non si inchinino a chicchessia mantenendo invece la schiena ben dritta. Se si debbono inchinare lo debbono fare solo di fronte al popolo, unico detentore della sovranità.
Dagoberto Frattaroli
(1) – Legge 9 novembre 2001, n. 401, art. 5 bis, comma 5