L’infallibilità del papa rientra nelle verità di fede, benché si tratti di una delle più recenti. Fu infatti fermamente voluta da Pio IX e proclamata, dopo aspre discussioni e fra molte opposizioni, solo nel 1870, dal Concilio Vaticano I, ma con ovvio valore retroattivo. Esso decretò: «Insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato che il Romano pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani, definisce, in virtù della sua suprema autorità apostolica che una dottrina riguardante la fede o i costumi dev’essere ammessa da tutta la chiesa, gode, per quell’assistenza divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro, di quella infallibilità, di cui il divino Redentore ha voluto fosse dotata la sua chiesa, allorché definisce la dottrina riguardante la fede o i costumi”.
L’elastico dell’infallibilità Il papa si ritiene dunque infallibile sia per quanto riguarda i dogmi, sia per quanto riguarda le norme morali anche se la formulazione è abbastanza elastica da permettere di far rientrare o uscire questa o quella affermazione dal novero di quelle infallibili restando ad esempio indeterminato quando il papa parli ex cathedra e quando no. A rendere la formula ancor più elastica concorsero poi i successori di Pio IX, che in più occasioni liquidarono con fastidio le obiezioni sentenziando in modo perentorio, come Leone XIII: «quello che si deve credere e quello che si deve operare, appartiene per diritto divino… alla Chiesa e al Sommo Pontefice. Per tali motivi il Pontefice deve poter giudicare con la sua autorità quali siano le cose contenute nella parola di Dio, quali dottrine sono ad esse conformi, e quali no. Allo stesso modo deve indicare ciò che è onesto o turpe; ciò che si deve fare e cosa fuggire per raggiungere la salvezza; altrimenti non sarebbe più il sicuro interprete della parola di Dio, né guida sicura all’uomo nell’agire» (Sapientiae Christianae, 1890). Ancora più arrogante e stizzito Pio X, per il quale «quando si ama il Papa, non si fanno discussioni intorno a quello che esso dispone od esige, o fin dove debba giungere l’obbedienza ed in quali cose si debba obbedire… non si limita il campo in cui Egli possa e debba esercitare la sua autorità; non si antepone all’autorità del Papa quella di altre persone per quanto dotte che dissentano dal Papa, le quali se sono dotte non sono sante, perché chi è santo non può dissentire dal Papa» (Discorso agli iscritti dell’unione cattolica,1912). Ma, specie dopo il Concilio Vaticano II, l’elastico funzionò anche nel senso di limitare e ridurre i pronunciamenti sicuramente infallibili – specie nel tentativo di fronteggiare le smentite provenienti dalla storia, cioè i numerosi “errori” commessi dagli “infallibili”. I teologi cattolici in particolare, nota il teologo dissidente Hans Küng nel suo saggio su L’infallibilità, si sono industriati a «arginare la messa in questione dell’infallibilità con una ricetta in fondo abbastanza semplice: o l’errore non sussisteva affatto, oppure – quando alla fine non si era più in grado di contestare, reinterpretare, minimizzare e sfumare – non c’era stata una decisione infallibile».
Anche la Chiesa è infallibile Va poi ricordato che se a far discutere è soprattutto l’infallibilità personale del papa, secondo la dottrina cattolica è infallibile anche la Chiesa nel suo insieme. Essa, come afferma il Catechismo romano del Concilio di Trento, «appunto perché governata dallo Spirito Santo non può errare nell’insegnamento della fede e dei costumi» (§ 115). E il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 ribadisce: «Cristo, che è la verità, ha voluto rendere la sua Chiesa partecipe della propria infallibilità» (§ 889). Oltre che nel Romano Pontefice «L’infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel Corpo episcopale, quando questo esercita il supremo Magistero col Successore di Pietro, soprattutto in un Concilio Ecumenico» (§ 891).
Le smentite della storia Ma i papi e la Chiesa si sono poi dimostrati davvero infallibili? In realtà non sembra, dato che la Chiesa ha cambiato molte dottrine importanti. Qualche esempio, in materia di norme morali: ieri legittimava la schiavitù e oggi la condanna; fino a Pio XII affermava che la donna deve essere subordinata all’uomo e oggi almeno verbalmente ammette la parità (fuorché nell’accesso al sacerdozio…); la libertà di coscienza, oggi difesa da Benedetto XVI, fu condannata in forma solenne come “delirio” da Gregorio XVI e Pio IX; uccidere in nome di Dio è ritenuto un grave peccato da Benedetto XVI mentre era un dovere, premiato con la remissione dei peccati, per Urbano II, Innocenzo III, Gregorio IX, Pio V e tanti altri papi. La Chiesa ha cambiato idea anche su questioni di fede: Pelagio fu condannato nel 391 per avere sostenuto che i bambini si salvano anche senza battesimo e il Concilio di Trento lanciò contro tale posizione l’anatema. Oggi una commissione approvata da Benedetto XVI afferma che si può sperare, con «solide basi teologiche», che vadano in Paradiso. Altri dogmi, come quelli sulla verginità e l’immacolata concezione, sono contestati da preti e laici cattolici. E la Chiesa tace su questo dissenso ma scomunica per gli stessi motivi teologi più famosi (come Tissa Balasurya). Per non dire di papa Onorio che professò la dottrina monofisita (secondo cui in Cristo v’è una sola natura e non due) poi condannata dal III Concilio ecumenico di Costantinopoli del 680-81, che lo dichiarò eretico. O “l’infallibile” Adriano VI che nel 1523 dichiarò che il papa può «errare, persino in materia di fede» e che «molti pontefici romani …erano eretici». E potremmo continuare.