Era il 1954 quando Richard Matheson scrisse il suo mitico "I am legend" terribilmente tradotto nelle versioni italiane fino al 1991 come "I vampiri".
Il romanzo è il prototipo della storia dell'unico umano sopravvissuto in un mondo di mostri da combattere, l'elenco di quanti film si sono ispirati nel corso degli anni a tale scenario è lunghissimo; tuttavia pochi di questi sono mai riusciti a riprodurre fedelmente l'ambiente angosciante del libro e pochissimi ne colgono il vero messaggio.
Matheson infatti, fa prendere coscienza al personaggio della sua
storia, mentre è diretto a subire un'esecuzione pubblica di fronte ai
vampiri oramai unici abitanti del pianeta Terra, che in un mondo di
mostri il diverso, il reietto, l'anomalia da combattere ed eliminare è
colui che mostro non è.
Robert Neville infatti si rende conto in una lunga meditazione finale
che il suo aggirarsi nella luce del giorno, protetto dal sole, per
uccidere i vampiri che invece possono uscire solo di notte, lo ha reso,
per i vampiri stessi, quello che loro erano per il mondo "normale"
ovvero un'oscura leggenda da tramandare nelle generazioni successive e
da raccontare ai bambini piccoli (vampiri anch'essi) per farli star
buoni.
L'esclamazione finale "Io sono leggenda" è quindi, nel libro di
Matheson, la consapevolezza che l'anormalità è solo un fatto dipendente
dai punti di vista; rappresenta la consapevolezza che per i "mostri" i
"mostri" siamo noi, insomma.
Si potrebbe definire, senza alcun dubbio, l'apoteosi del relativismo.
Quindi, da buon relativista, quando ho saputo che stava arrivando
finalmente nei cinema il kolossal hollywoodiano "Io sono leggenda" con
niente po'po' di meno che Will Smith nei panni di Robert Neville, mi
sono subito recato al cinema per gustarmelo.
Il film di per se non è male, anzi. Anche se non resta quasi più niente
della storia di Matheson devo dire che è ben girato, con scenografie
suggestive (anche se ovviamente tutte digitali) e una buona prova di
Will Smith che si trova per quasi due ore ad interagire solo con un
cane. Se c'è qualche difetto nel film è nell'entrata in scena della
seconda protagonista "umana", Anna (Alice Braga) che salva Robert
Neville da morte certa di fronte alle feroci orde vampiresche; il tutto
risulta un bel po' forzato, con i vampiri che riescono quasi ad
uccidere un esperto soldato addestrato come Neville ma non si sa come
mai gli sfugge una giovane fanciulla sprovveduta.
Ma le modifiche più importanti non sono nella storia, giustamente
riadattata alla luce delle nuove scoperte scientifiche e
"modernizzata", sono nel messaggio che si vuole trasmettere grazie al
film.
Sparita ogni analisi antropologica della nuova organizzazione sociale
che "i vampiri" si danno, sparisce anche il relativismo originale della
storia.
Il messaggio di questo film è semplice ed immediato: gli scienziati
cattivi hanno generato un virus che ha distrutto la razza umana, gli
uomini buoni fanno del tutto per combattere il virus e salvare il
pianeta dal male, ovvero dai vampiri.
E ovviamente ci riescono, visto che sono inevitabilmente guidati dal
buon dio, che dopo aver sterminato all'incirca sei miliardi di persone
(ah no, scusate! Sono stati gli scienziati cattivi), reso vampiri
famelici la maggiorparte dei sopravvissuti (ah no, la colpa di questo è
sempre dei cattivi scienziati) si premunisce di dare dei segni ai
pochissimi sopravvissuti che hanno conservato la natura umana (ecco,
questo è merito del buon dio).
Insomma il messaggio è completamente ribaltato rispetto all'opera
originale, un messaggio che sarà apprezzato senz'altro dal
cristianissimo pubblico americano ma che in me lascia aperta una
domanda.
È giusto modificare senza alcun pudore il messaggio originale di un opera a proprio uso e consumo?
Insomma, io non voglio criticare il film in se per se, che ripeto, è
senz'altro godibile (mi sono anche commosso quando il povero Neville ha
perso il cane che era la sua unica compagnia in un mondo di vampiri!),
ma voglio discutere se è moralmente corretto modificare opere
letterarie per esporre i propri punti di vista. Non sarebbe più
corretto produrne di nuove senza usare il lavoro sussistente che ha
tutt'altra morale rispetto alle nostre convinzioni?
Se io voglio rimettere in scena un "classico "della letteratura non
sarebbe corretto rispettare il messaggio che l'autore voleva dare con
la sua opera?
Non credo si possa ritenere il discorso di poco conto; i messaggi che
riceviamo dai nostri libri preferiti ci accompagnano per tutta la vita,
quindi veder modificare impunemente un messaggio che avevo
particolarmente apprezzato è stato per me un insulto ad uno dei miei
libri preferiti.
Di certo, una volta pagati i diritti d'autore, il regista può fare ciò
che meglio crede con la sua produzione, resta, a noi, il diritto di
reputare queste operazioni commercial-religiose un poco squallide e di
consigliare la lettura dell'opera originale che rispetto al polpettone
hollywoodiano ha comunque una marcia in più.