Che la secolarizzazione sia il grande nemico del cattolicesimo è noto e Benedetto XVI non manca di sottolinearlo ad ogni occasione. Ma oggi la Chiesa può contare su un comodo alleato per sconfiggere, e a livello mondiale, questo pericolo. Mahmoud Ahmadinejad, presidente dell’Iran, ha inviato la settimana scorsa una missiva al papa in cui, oltre a ringraziarlo per aver preso posizione nei confronti del pastore americano Terry Jones che aveva minacciato di bruciare alcune copie del Corano l’11 settembre, ha proposto “una collaborazione fra religioni divine”, quella islamica e quella cattolica, per fermare “il secolarismo e la crescente tendenza dell’uomo a concentrarsi solo sulla vita materiale”.
“La repubblica islamica dell’Iran, come sistema religioso e democratico, considera la stretta cooperazione e l’espansione delle relazioni bilaterali con il Vaticano come una delle priorità della sua politica estera“, continua Ahmadinejad dichiarando di essere pronto a unire i suoi sforzi a quelli della santa sede “per cambiare la struttura tirannica che oggi domina il mondo“.
Dalla sala stampa vaticana nessuna dichiarazione se non quella del direttore, padre Federico Lombardi, che rimanda a quanto diffuso dalla presidenza iraniana. Silenzio, dunque, anche su un’eventuale risposta del papa, che comunque non ha mancato di ringraziare il vicepresidente iraniano dalle cui mani ha ricevuto la lettera di Ahmadinejad.
Ma il silenzio può essere interpretato come assenso, o quanto meno come benevolenza. Nel caso, verso un regime teocratico che fa dei diritti umani carne da macello e verso una guerra santa per “cambiare la struttura tirannica che oggi domina il mondo”, ossia la democrazia.
Quale carta sta giocando il Vaticano? C’è da chiederselo, soprattutto in questo momento in cui il caso di Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione – poi all’impiccagione – per adulterio ha smosso le coscienze mondiali ma, evidentemente, non quelle ecclesiastiche. L’algida risposta di padre Lombardi all’accorato appello del figlio della donna, rivolto al papa e al Governo italiano, è esplicativa: “Il Vaticano sta seguendo da giorni con molta attenzione quanto sta avvenendo in Iran a proposito del caso di Sakineh‘”; “La posizione della Chiesa, contraria alla pena di morte, è nota e la lapidazione è una sua forma particolarmente brutale”.
Insomma, parrebbe una questione di metodo, non di sostanza. Che l’Islam condanni alla lapidazione una donna adultera e la Chiesa cattolica no pare solo una sfumatura. L’assassinio, la violenza, la coercizione, la privazione della libertà, la tortura, la brutalità, il sessismo non sembrano argomenti che possono scalfire il rapporto tra i due monoteismi più diffusi sul globo terrestre.
Il paradosso più evidente è che quella vita di cui la Chiesa difende a spada tratta la sacralità dall’atto del concepimento fino alla morte (rimandata il più a lungo possibile attraverso ogni forma di accanimento terapeutico), sbraitando a gran voce contro chi osa dissentire, diventa poi una semplice questione di punti di vista quando si tratta di rapportarsi – ed eventualmente allearsi – con un regime oppressivo e brutale che potrebbe far comodo per sconfiggere il nemico comune, il secolarismo.
Ancora una volta la parola spetterebbe all’indignazione dei cattolici. E il loro silenzio ci fa chiedere con imbarazzo: assuefatti o inconsapevoli?