James Ellroy, Martin Scorsese e la distruzione del mito kennediano

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La vera Trinità di Camelot era Piacere, Spaccare il culo e Scopare. Jack Kennedy è stato la punta di diamante mitologica di una fetta particolarmente succosa della nostra storia. Spandeva merda in modo molto abile e aveva un taglio di capelli di gran classe. Era Bill Clinton senza l’onnipresenza dei media e qualche rotolo di grasso.”

(American Tabloid. Dall’introduzione dell’autore)

Immaginate di pubblicare un romanzo in Italia in cui ricostruite complicità di alti funzionari statali nell’organizzare traffici di eroina per finanziare colpi si stato all’estero, in cui prendete di petto uno dei politici progressisti più amati nella storia del paese e lo descrivete come un affamato di sesso, drogato ed eletto grazie alle amicizie mafiose del padre che hanno fatto votare in suo favore anche i morti.

Immaginate le conseguenze delle cause legali che vi pioverebbero addosso e statene pur certi che non vi basterà vendere tre miliardi di copie per uscirne con qualche centesimo ancora in tasca. Ammesso che riusciate a restare liberi. E vivi.

Ma l’America è la Terra delle Libertà e quindi, a quanto sembra si può fare; tant’è vero che “American Tabloid” (1995) racconta (in estrema sintesi) proprio quanto appena detto del (falso) mito JFK. La sua ascesa non limpida e il suo assassinio dopo aver tradito la mafia nella vicenda della Baia dei Porci.

Complottismo allo stato puro? Beh, non proprio, visto che di riscontri ce ne sono molti e puntuali, a cominciare del ruolo dei “personaggi realmente esistiti” (cioè quasi tutti): Howard Hughes, J. Edgar Hoover, Jimmy Hoffa i fratelli Kennedy e il loro papà Joe. Poi c’è tutto quello che , ormai è appurato, ruotava intorno al famoso fondo prestiti del sindacato più potente degli Usa, quello dei Teamster di Jimmy Hoffa, quasi completamente infiltrato dalla mafia.
Ci sono i riscontri della enorme divergenza di vedute fra Hoover che vedeva la mafia come un piccolo pericolo per il paese e finanche una risorsa tattica contro il Grande Pericolo Comunista e Robert Kennedy (il vero idealista della famiglia) che invece vedeva proprio la mafia come il più grande pericolo per la democrazia in Usa.

Abbiamo preso in mano questo romanzo grazie a un consiglio in una discussione seguita dalla lettura di 22/11/’63 il fantasy di Stephen King in cui manda uno dei suoi protagonisti indietro nel tempo per salvare JFK. Inevitabilmente, quando si parla dell’assassinio di JFK si finisce sempre per chiedersi e chiedere “Ma tu ci credi davvero che Oswald abbia agito da solo?”
Il nostro saggio amico ci disse di preferire un approccio più olistico e per l’appunto ci suggerì di leggere American Tabloid.

Il romanzo di Ellroy parte da Los Angeles, dai dossieraggi scandalistici tramite i tabloid che Howard Hughes faceva per affinità politica con J.E. Hoover per poi attraversare tutto il paese nordamericano, da Chicago, a Las Vegas, a New York fino alla Cuba rivoluzionaria.
Racconta del continuo aumento dei disaccordi fra la mafia e Jimmy Hoffa a causa del supporto di questa all’elezione come presidente Usa di JFK (Hoffa si sentiva perseguitato dal fratello Robert che intentava contro di lui innumerevoli cause per dimostrare la presenza della mafia nel sindacato).

Ma la mafia si fidò delle famiglie amiche di Joe Kennedy, il padre dei due, con la promessa di supportare la deposizione di Fidel Castro affinché i mafiosi americani potessero riprendere a fare affari con i loro Casinò e aziende agricole a Cuba. Ma ciò non avvenne a causa del disastro della baia dei porci per l’appunto. In quella notte in cui furono annientate le truppe paramilitari degli esuli cubani organizzate dalla Cia (finanziando il tutto con il traffico di eroina cubana) spingersi oltre ed intervenire direttamente a supporto con degli aerei avrebbe significato una guerra aperta non solo con Cuba ma con l’Urss. JFK si tirò indietro, rimettendoci quasi tutta la sua credibilità ed evitando una guerra. Ma gli costò la vita; perché con la mafia i tradimenti si pagano.

Si ferma qui James Ellroy (non abbiamo ancora letto i due romanzi che completano la trilogia Underworld – Usa come viene chiamata, ovvero “Sei pezzi da mille” e “Il sangue è randagio”) ma per i pezzi che mancano a completare il puzzle Kennedy-Hoffa-Mafia ci ha pensato Martin Scorsese portando nel 2019 sul grande schermo le “memorie” di Jack Sheeran, il braccio destro di Jimmy Hoffa e che ha confessato post-mortem la sua colpevolezza per la sua uccisione e la successiva sparizione.

The Irishman” rappresenta l’apoteosi di tutti i film di Scorsese sulla mafia americana: Joe Pesci, Robert De Niro e Al Pacino si riuniscono in un’eccezionale last dance in una storia che stavolta ha ben poco di inventato dal regista. Questa è infatti la trasposizione delle memorie di Jack Sheeran riportate nel saggio “L’irlandese. Come ho ucciso Jimmy Hoffa” a firma del giornalista Charles Brandt, pubblicate un anno dopo la morte di Sheeran e, guarda caso, si integrano perfettamente con “American Tabloid” ampliando e spiegando i rapporti di complicità e ambiguità fra Hoffa e la mafia.

Il giudizio artistico sul film (comunque ottimo) non può non rilevare alcune scelte discutibili; ad esempio quella di far interpretare agli stessi attori anziani, seppur truccati, le scene in cui sono giovani. I risultati sono molto discutibili. Molto spesso come spettatori si è spaesati, visto anche i continui saliti della linea temporale. “Ma qui è più anziano o più giovane?” ci si domanda inevitabilmente. Il trucco non può tutto e, con buona pace dei tre mostri sacri, sarebbe stato meglio cambiare l’attore.
Tuttavia la bellezza e l’importanza del lungometraggio sono fuori discussione.

Al Pacino interpreta Jimmy Hoffa, Robert De Niro è nei panni di Jack Sheeran (l’irlandese, per l’appunto), e Joe Pesci, sempre inappuntabile, il capomafia Russel Bufalino.

L’apice della tensione nel film avviene negli anni successivi all’assassinio di Kennedy, quando Hoffa, dopo essere stato in carcere a lungo senza mai fare i nomi delle famiglie mafiose che avevano beneficiato dei fondi del sindacato Teamster, cerca di riprendersi il suo ruolo.
Ma non può, ci sono ormai al vertice del sindacato persone più vicine alla mafia e che danno più garanzie. Jack Sheeran che è sempre stato il suo “numero due” cerca di calmarlo in tutti i modi, fa da tramite con Bufalino che a sua volta è il referente sul campo delle “famiglie”; ma alla fine la decisione che Hoffa deve esser fatto sparire viene presa.

E come spesso succede nella mafia raccontata da Scorsese, se devono far fuori qualcuno chi preme il grilletto è quasi sempre quello che gli è più vicino. Magari uno così stretto da essere ormai quasi un fratello; in primo luogo perché l’altro non se lo aspetta e in secondo luogo e perché comunque devi dimostrare di essere fedele alla mafia e non a chi controlli per essa. Come potrebbero continuare a fidarsi di te se ti rifiuti?

Così ecco la scena clou: Sheeran-DeNiro supplica Pacino-Hoffa di ripensarci e stare al suo posto ma ottiene come risposta: “Non temere Jack ho troppi documenti scomodi per loro, non mi possono toccare”; lui lo guarda come se fosse un bambino di sei anni e gli dice: “Jimmy, hanno eliminato un presidente, tu chi pensi di essere?” il volto di Al Pacino prima si gela di paura e poi sorride in un ghigno a tranquillizzare il suo interlocutore. Sta scegliendo di andare incontro al suo destino.
Beh, lo confessiamo, ci siamo commossi anche se sappiamo di star parlando di Bravi Ragazzi, nel senso “scorsese” del termine.

Sappiamo che poi ci sono stati numerosi studi che hanno smentito delle parti del racconto di Sheeran. Ad esempio la casa indicata per il luogo dell’uccisione del sindacalista non sarebbe stata quella; è stato sì rilevato del sangue dietro le pitture superficialia ma, sembra, non fosse quello di Jimmy Hoffa.

Ma a nostro avviso tutto questo ricercare i dettagli della verità dimostra solo, probabilmente, la voglia di non accettarla questa verità.

Giusto fare ogni accertamento, ma questo è compito del detective. Per chi vuol capire i fatti storici incaponirsi sui dettagli vuol dire perdere il quadro di insieme.

Lo sappiamo già che la mafia è una mare di menzogne e una montagna di merda, non ci caverai mai un ragno dal buco, un reo confesso può star coprendo il vero colpevole, un pentito può essere tale solo per convenienza o per intorbidire le acque.

Ma se invece di guardare il dettaglio cerchiamo di elevarci e diamo un’occhiata complessiva dall’alto le cose importanti risultano chiare.

Siamo ragionevolmente certi del fatto che Oswald non abbia agito da solo e che le cose siano andate diversamente da quella famigerata Versione Ufficiale della commissione Warren. Lo dimostra la relazione sul fucile Carcano fatta da chi l’ha costruito (chiarendo che NON poteva sparare quel numero di colpi) e lo dimostra oltre ogni nostro ragionevole dubbio il filmato di Zapruder.

Tuttavia leggere Ellroy e vedere The Irishman ci ha permesso di inquadrare la faccenda in un modo diverso e più corretto.
Il “chi” e il “come” appartengono al gusto fetish dei dettagli macabri.

Nella Storia è capire il contesto e intuire il perché che conta.

Alessandro Chiometti

 

29 Gennaio 2021   |   articoli, recensioni   |   Tags: , , , , ,