Persino da qualche fervente cattolico ho talvolta udito esternare perplessità di fronte al modo di esprimersi, spesso involuto, tanto da apparire ingannevole, usato dal corpo sacerdotale. Potevo essere io da meno di questa sia pur sparuta pattuglia? Certo che no!Arrivo perciò a dire che sarebbe bello, anche se difficilmente realizzabile, che ogni volta che ognuno di costoro, almeno da vescovo in su (il vizio diventa più marcato man mano che si sale nella scala gerarchica) prende ufficialmente la parola, possa apparire o in sovraimpressione, o su apposito schermo, o dove non so, la traduzione in ‘autentichese’-come lo chiamo io- di quello che dice; tanto il loro linguaggio è ambiguo, sfuggente, dissimulatore, allusivo, non-compromissorio (raramente si fanno nomi: li si lascia intendere), quasi-mafioso (quasi?!). E poi: quell’uso spregiudicato e occhiutamente ingannevole dei termini, come ad es.: ‘materialismo’ al posto di ‘edonismo’, o ‘credere’(meno compromettente) nel senso di ‘esser certi’ (troppo compromettente).. e quanti altri!
Ma per ora, scherzi-e schermi-a parte, la cosa più ragionevole è quella di fare opera di prevenzione ed informarsi su cosa i religiosi vogliano veramente dire quando dicono quello che dicono. Ottimo, sotto questo aspetto, è il saggio del prof. Edoardo Lombardi Vallauri ‘Capire la mente cattolica’ Ed. Le Lettere.
L’aspetto più straziante della questione è però, a mio modo di vedere, un altro. Questo modo di fare tende a condizionare drammaticamente anche lo schieramento laico. Prendiamo ad esempio quello strano oggetto che va sotto il nome di RELATIVISMO, che fu uno dei principali cavalli di battaglia di Joe Ratzinger (Papa Benedetto XVI). Cavallo passato senza colpo ferire nelle mani del neo-Papa Francesco, al secolo J. M. Bergoglio, il quale, pur proseguendo nel suo programma di creazione di un’immagine amicale, serena ed accattivante, di ‘Papa della porta accanto’-qualcuno già si azzarda audacemente a chiamarlo Bergy-tra un”buon giorno” e un “buon pranzo”, è stato sentito inveire (amabilmente, s’intende, com’è nel suo costume) contro “la dittatura del relativismo”. Espressione, del resto, già usata dall’Emerito. Questo spauracchio per vecchiette (il relativismo, appunto) sembra essere proprio una ‘arma di confusione’ micidiale. Vecchiette?! Allora, apro (aprii) il n. 10 (apr. 2011) de L’Espresso a p. 99 e leggo (lessi): “Il relativismo come fondamento della convivenza civile è il filo conduttore delle Giornate della laicità, che si svolgeranno a Reggio Emilia dal 15 al 17 aprile, prima edizione di una manifestazione promossa da ‘Micro Mega’, Iniziativa Laica e Arci Reggio Emilia ». Dunque, la laicità si fa paladina del relativismo perché il Papa lo condanna.. sembrerebbe. Ma soprattutto.. sembrerebbe, nessuno lì a chiedersi se ‘sto relativismo non sia solo aria fuoriuscita dai locali della premiata friggitoria Ratzinger (ed eredi). E pare pure che tale convegno si tenne! Conosco qualcuno che c’è stato.
Parrebbe ch’io voglia affermare che il relativismo, concetto che mi accingo ad analizzare, altro non è che una mera emissione vocale, a cui non corrisponde una realtà oggettiva; come scrive il prof. Vallauri: “Posso dire che Dio è uno e trino, ma naturalmente non so che cosa voglia dire. (…) È facilissimo dirlo, cioè è facilissimo usare i polmoni, la bocca e la lingua per pronunciare i suoni: dioèunoetrino, ed è impossibile sapere che cosa significhino. (…) Il fatto che i meccanismi della lingua permettano di creare queste parole non deve trarci in inganno: non è affatto detto che esse debbano avere un significato comprensibile. (…) È successo con flogisto, basilisco, Giunone, Sandokan, i marziani, le convergenze parallele, e innumerevoli altre”(op. cit.). Purtroppo il titolo dell’articolo lascia poco spazio all’immaginazione: la risposta è sì. Dico ‘purtroppo’ perché mi sarebbe piaciuto giuocare un po’ sulla suspence, ma poi ho preferito quel titolo, secco e diretto, a sottolineare la polemica contro l’esprimersi involuto della Casta più Casta che si possa immaginare. La suspence aspetterà un’altra occasione. Il relativismo, dunque, ossia, per così dire, il trionfo del punto di vista. Per trattarlo adeguatamente mi appoggerò, oltre che al mio mirabile sapere (sto scherzando!!), al filosofo statunitense Michael P. Lynch, docente all’Università del Connecticut ed affezionato frequentatore del nostro paese, e più precisamente al suo saggio ‘La verità e i suoi nemici’(*) R.Cortina Ed.. Il capostipite, almeno nel pensiero occidentale, di questa concezione, viene usualmente individuato nel filosofo greco Protagora (V sec. a. C.), il quale affermò: “di tutte le cose misura è l’uomo, di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono”. Se ciò è vero, si può arrivare ad affermare che non esiste una verità (e addirittura una realtà) oggettiva; essa verità sta soltanto negli occhi di chi guarda. Il relativismo (almeno nella sua concezione originale) proprio questo fa. Se quel principio di Protagora esprime il fondamento stesso della riflessione filosofica (la conoscenza del mondo è opera dell’uomo, essere senziente e pensante), a differenza che nel sano scetticismo, che ammette la reale difficoltà di trovare la verità oggettiva su fatti, comportamenti, ecc., ma non la nega affatto (anzi, secondo me, la presuppone), nel relativismo si giunge a conseguenze estreme e un po’.. ‘strane’: “se la verità è la verità-per-me, e poiché ogni cosa è vera per me (altrimenti non la crederei), tutto ciò che io credo, stando a questa teoria, è vero. Non faccio mai errori. Che comodità!”(*). È significativo il fatto che lo stesso Protagora, subdorando forse che qualcosa non funzionasse proprio a dovere, non tradusse mai quella sua elaborazione teorica in un relativismo pratico, che anzi, in qualche modo, sconsigliò. Ecco come smontare questo tipo di relativismo, diciamo così, ‘delle origini’, e che Lynch chiama ‘semplice’, o anche ‘sempliciotto’. Supponiamo che un signor Tizio si definisca relativista e affermi di conseguenza che non esistono verità oggettive ed ognuno di noi ha la sua verità-per-sé. Basta chiedere a Tizio se questa affermazione da lui testè pronunciata è vera o solo vera-per-lui. Nel primo caso (il relativismo è vero senza qualificazioni), egli si trova invischiato in una terribile contraddizione, “Infatti, se il relativismo è vero (per tutti, come sarebbe in tal caso), allora è falso-non è vero che ogni verità è relativa”(*). Nell’altro caso invece, Tizio non cade in contraddizione; gli succede qualcosa di peggio! Egli diventa necessariamente.. infallibile! È proprio la situazione che descrivo (per bocca di Lynch) qualche riga sopra. Una situazione orrenda, allucinante, da non augurare neanche a.. un Papa! Il relativismo ‘semplice’ è perciò, o inevitabilmente contraddittorio, o del tutto folle.
Il motivo per cui il relativismo raccoglie tanta simpatia in area.. ‘liberal’-per così dire- è che esso, a prima vista, sembra promuovere, se non addirittura presupporre, la tolleranza ed il pluralismo; due cose che a noi laici stanno particolarmente a cuore. La parola stessa sembra suggerire ampiezza di vedute e clemenza nei giudizi. Abbiamo cominciato ad intravvedere che le cose potrebbero stare in modo alquanto diverso. Ma dov’è l’imbroglio in tutta questa situazione? Il fatto è che la causa dell’intolleranza, e più in generale dell’incomprensione verso il prossimo, non è il credere ad una verità oggettiva, bensì è il dogmatismo, la deprecabile sensazione/opinione di non poter avere torto. Ma chi sostiene l’esistenza di una verità oggettiva-che perciò non dipende da lui!-è costretto a confrontarsi in continuazione con essa, e perciò deve mettere in conto di potersi sbagliare in qualsiasi momento. Questo esclude radicalmente ogni possibile atteggiamento dogmatico, e non solo: “il rispetto degli altri dovrebbe condurci ad essere estremamente cauti nella pretesa che conosciamo qualcosa con certezza; ma ciò significa appunto credere che la verità sia qualcosa di più che la verità-per-me”(*). Il relativista-a meno che non si contraddica!-è semplicemente impossibilitato a fare tutto questo; egli rende superflua-come si è visto-qualsiasi discussione su ciò che è vero e su ciò che non lo è. La conclusione potrà essere pure sorprendente, ma è assolutamente giustificata: è il relativismo il vero nemico di tolleranza e pluralismo.
Un tipo di relativismo più sofisticato che Lynch va poi a considerare, è quello cosiddetto ‘postmoderno’. Lasciamo perdere la discussione sul significato del termine ‘postmoderno’, non del tutto chiaro, a giudizio dello stesso Lynch; basti qui dire, per i nostri scopi, che esso si caratterizza per la sua ‘incredulità rispetto alle metanarrative’. Fermi tutti!! Nessuno fugga o faccia gesti inconsulti. Mi rendo conto che molti, al cospetto di termini simili, siano tentati di mandare al diavolo me, Lynch, e magari anche qualcun altro, ma assicuro che le cose stanno molto più semplicemente di quanto possa sembrare a prima vista. Una metanarrativa non è altro che un criterio di validità e di valore, un ‘metro di giudizio’, insomma, universale ed immutabile. Ciò non può esistere, dicono i po.mod., perché non c’è criterio che non si sviluppi storicamente, non cambi al cambiare dei tempi, e non sia perciò rivedibile, se non eliminabile.
Un ordine di ragionamento, questo, che è stato portato alle estreme conseguenze da un prestigioso intellettuale che viene usualmente associato al postmoderno-sebbene anche qui le perplessità non manchino, ma poco importa-lo storico e filosofo francese Michel Foucault (1926-1984). Secondo Foucault, la conoscenza del mondo-e di noi stessi-non è tanto il prodotto di chi attivamente si adopera per costruirla, ma è soprattutto il prodotto del sistema di POTERE in cui chi lavora a quello scopo, si trova immerso. Ma non si deve pensare necessariamente ad un potere tirannico che impone brutalmente la propria concezione-anche se, ovviamente, questo è accaduto ed accade-ma ad un sistema di istituzioni e relazioni che modellano il nostro modo di pensare, e che opera ‘dietro le quinte’.Esso ci induce, senza che ce ne accorgiamo, ad avere opinioni che crediamo autonome ed invece sono da esso dettate. Come esempio per la comprensione di questo concetto, Lynch sceglie un argomento che costituisce ancora un nervo scoperto per un americano emancipato, quello riguardante la vergogna del razzismo nel suo paese. “Ancora in epoca moderna l’establishment scientifico accettava l’idea che gli appartenenti alla ‘razza nera’ fossero intellettualmente inferiori ai bianchi europei. Le misurazioni, del tutto inesatte, fatte da Samuel George Morton delle capacità craniche condussero parecchi membri della comunità scientifica del XIX secolo a credere che fosse “provato che i cervelli caucasici fossero più grandi dei cervelli dei neri e che quindi i caucasici fossero più intelligenti”. Per esempio, Louis Agassiz, il paleontologo più influente del suo tempo e uno degli scopritori dell’era glaciale, annunciò nel 1847 che era un fatto provato scientificamente che “il cervello del negro è il cervello imperfetto di un bambino di sette mesi nel grembo di una bianca”. Soltanto una persona estremamente ingenua penserebbe che l’accettazione di questa e di altre simili ‘verità’ da parte di tanta gente potesse semplicemente essere imposta, come Agassiz e Morton sembravano credere, dai dati scientifici. Piuttosto, la spiegazione della sua accettazione può essere individuata, tra le altre cose, nel fatto che Morton e Agassiz erano dei razzisti, nella circostanza che tutti gli scienziati coinvolti in quel tipo di lavoro erano maschi bianchi, nella schiavitù degli americani di origine africana, nel bisogno di giustificare il trattamento di questi schiavi, nell’esigenza di manodopera a buon mercato, ecc. Questi ed altri fattori sociali hanno aiutato a modellare le assunzioni di sfondo accettate dagli scienziati sociali del XIX secolo, che generarono le loro credenze sulla razza e contribuirono a fissarle come ‘conoscenza’ in quasi tutta la cultura dei bianchi. (…) Tali assunzioni plasmano quello che voi ed io pensiamo su ciò che ha o non ha senso, su quali criteri o standard debbano essere utilizzati per giudicare la verità e su cosa debba essere accettato senza argomentazione e cosa no” (*). Ora, moltissimo di questo è indubbiamente vero, anzi, è qualcosa di dannatamente simile al ‘materialismo storico’(1), anche se Lynch, da buon americano, non riesce a pronunciare queste due parole (a conferma-ma guarda un po’, proprio!-della potenza del ‘dietro le quinte’), ma quello che Foucault sembra voler affermare è che la verità è SOLTANTO potere. Anche in questo caso l’idea dell’esistenza di una verità oggettiva viene esclusa: “La verità (…) è ciò che passa per vero. E ciò che passa per vero è determinato da un sistema egemonico di potere”(*). Questa è l’essenza del ‘relativismo postmoderno’, che si differenzia da quello ‘sempliciotto’ perché ora la questione della verità non riguarda più i singoli individui, ma modelli standard di evidenza creati, appunto, dai sistemi di potere.
Inutile chiedersi-il motivo di ciò è stato già spiegato-se il relativismo postmoderno sia più attendibile di quello ‘semplice’. Ovviamente no. Intanto c’è da dire che, in base a questo principio, una verità può mutare in base al mutare dei criteri di giudizio indotti dal ‘sistema’, perché questo può a sua volta cambiare. Per tornare all’esempio del razzismo ‘made in USA’, oggi non è là più ritenuto vero che i neri siano intellettualmente inferiori ai bianchi, ma (sempre in base al relativismo), lo era necessariamente fino a non molto tempo fa. “Ma tutto ciò è controintuitivo: sicuramente quella concezione razzista era falsa allora e ora”(*). Ma l’aspetto più drammatico del relativismo postmoderno è che rende inutile, superfluo, ogni tentativo di critica sociale. Se la critica che viene mossa è ritenuta vera, questo può accadere solo perché quello che afferma è ‘normalmente’ vero all’interno del sistema in cui viene pronunciata, e allora non sarebbe stato necessario neanche formularla. Si potrebbe al massimo rimproverare qualcuno di essere stato un po’ ‘distrattuccio’ per non essersi accorto della presenza di qualcosa che già c’era, ma non è che sarebbe un gran risultato. Non scoppierebbe certo la rivoluzione. Se invece la critica comporta il credere a qualcosa di estraneo ai modelli del potere, dato che non esiste verità al di fuori di quelli, chi la formula è semplicemente in torto, e non c’è altro da aggiungere; e ora sospendo perché penso che ne abbiate abbastanza, ma lo strazio non finisce qui. L’unico modo per evitare queste vere e proprie mostruosità, è ammettere che esistano delle verità oggettive, indipendenti dai sistemi di potere, e da condividere in più che sia possibile. Azzardo: quella che, forse, nelle intenzioni di Foucault voleva essere una critica al potere, gli si è magicamente trasformata tra le mani nella più perfetta giustificazione dell’oppressione e della manipolazione. Tirando le somme, insomma, sembra proprio che ‘sto relativismo abbia la consistenza del flogisto (v. sopra), il misterioso gas che venne ipotizzato per spiegare il fenomeno della combustione, e che cadde nel dimenticatoio dopo la scoperta dei processi di ossidazione.
Tento ora la doverosa traduzione in autentichese di quel che intendeva Joe Ratzinger (puntualmente ripreso da .. Bergy) quando ‘ci riocava’ con la sua condanna del relativismo, anche se non mi illudo di poter rendere appieno la complessità del suo pensiero. “Cari frateli, esiste una sola verità sull’uomo e sul mondo, ed è quella che dico IO! Fatevene una ragione. Da buon RELATIVISTA non mi curo della verità per quello che è in sé stessa. Quanto potrà durare? Dio solo lo sa. Fino a quando ci sarà quella gran massa di fresconi-voi-che mi viene appresso, potrò continuare a sparare tutte le palle che voglio. Andate in pace, e alla prossima raffica!”.
Per concludere, amici laici, mi permetto di suggerirvi una strategia di disimpegno, non troppo arzigogolata-che a volte può essere deteriore-per quando qualche devoto parlando con voi vi accuserà di essere relativisti. Basta fare a lui (o a loro) la seguente precisazione: “Ma quale relativismo?! Fate schifo SEMPRE!”. Meglio se riuscite a pronunciarla con accento partenopeo-se siete napoletani la questione, ovviamente, non si pone-risulterà più espressiva e tranchant.
Alessandro Petrucci
(1) Non si pensi però che il materialismo storico porti al relativismo. La questione è complessa e non riguarda questo articolo. Qui basti dire che Karl Marx fu un rigoroso antirelativista.